Seduto al contrario su una seggiola di legno povero, le mani ad abbracciare lo schienale, le spalle al plotone di esecuzione, perché è alla schiena che si fucilano i traditori. Il comandante del plotone che dà l’ordine, il fragore delle armi. Una salva forse imprecisa, forse sparata da troppo lontano per essere mortalmente efficace. Il dolore, e poi due colpi di grazia, alla testa.
Finisce così, l’11 gennaio 1944, la parabola politica e umana di Gian Galeazzo Ciano, conte di Cortellazzo e Buccari, per tutti Galeazzo, o anche, per antonomasia, “il Genero”. La fucilazione è filmata da una cinepresa, in modo da immortalare la fine riservata a chi tradisce il duce. Il macabro girato, occultato per anni, verrà poi ritrovato grazie alle ricerche dello storico Renzo De Felice.
Una nuova edizione, riveduta e ampliata, della biografia del “genero d’Italia”. Documenti inediti restituiscono alcuni aspetti della vita privata di uno dei personaggi-chiave del regime. Una figura enigmatica, odiato e amato, difensore e traditore di Mussolini.
Prima di quel freddo mattino di gennaio in pochi avrebbero creduto possibile un epilogo da tragedia shakespeariana per la storia di una delle famiglie italiane più potenti della storia, perché proprio dalla famiglia, dalla cura e attenzione alle dinamiche del grande clan di cui aveva fatto parte, erano venuti tutta la fortuna e il potere di Galeazzo Ciano.
Infatti, prima di essere “il Genero”, Galeazzo è “il Figlio”. Nato a Livorno nel 1903, il padre Costanzo è un’ingombrante figura di militare e politico, eroe di guerra (partecipa a varie azioni dimostrative contro la marina austriaca, tra cui, con D’Annunzio, alla cosiddetta “beffa di Buccari”, un’incursione dimostrativa in una base navale austriaca nel febbraio del 1918) che alla fine del conflitto milita prima nel partito nazionalista e poi, al momento opportuno, entra con successo nelle file del nascente fascismo. Riesce addirittura a costituire ex novo una nuova provincia, quella di Livorno, che gestisce come feudo personale.
“Il figlio di Ciano” negli anni Venti è uno dei rampolli più in vista di quella nuova classe dirigente alimentata dal connubio tra élite politico-industriali e fascismo che costituiscono l’ossatura di dominio del regime. Ha qualche velleità letteraria, “il figlio”: poco più che ventenne scrive e mette in scena un dramma, di argomento tragicamente profetico, Felicità d’Amleto, che viene però accolto tra i fischi.
Abbandonate le speranze da palco, viene avviato dal padre alla carriera diplomatica, che percorre con familiare velocità: addetto d’ambasciata a Rio de Janeiro già nel 1925, passa la seconda metà degli anni Venti, quella di consolidamento del regime, tra gli agi e i divertimenti delle sedi diplomatiche.
È a Pechino, e poi a Roma, presso la Santa Sede. Qui diviene un nome noto nel bel mondo della nuova Italia fascista che comincia a riempire i rotocalchi di regime con le storie di quelli che oggi verrebbero definiti “VIP”. Piacente, spavaldo, ricco e dal capello perfettamente impomatato, il 24 aprile 1930 Galeazzo Ciano dà una svolta repentina alla propria carriera sposando la figlia primogenita di Benito Mussolini, Edda. Un matrimonio da favola, che rafforza il racconto dei Mussolini come “famiglia reale concorrente” rispetto a Casa Savoia.
Grazie ai buoni uffici del suocero quello che d’ora in avanti sarà “il genero” ha un’accelerazione di carriera fulminante: nominato console a Shanghai vi trascorre un paio d’anni rendendo nonno il duce del fascismo.
Richiamato a Roma, nell’agosto del 1933 viene nominato capo ufficio stampa di Mussolini; nel settembre 1934 è già sottosegretario alla stampa e propaganda. Supervisiona e cura la nascita del ministero della cultura popolare, di cui viene messo a capo, non riuscendo però a evitare che il suo dicastero passi alla storia con lo sfortunato acronimo di MINCULPOP.
Nel 1935 come molti altri gerarchi parte volontario per l’aggressione all’Etiopia. Alla ricerca di imprese e medaglie da affiancare a quelle paterne, Galeazzo Ciano si arruola in qualità di pilota di bombardieri. Come riportano le motivazioni delle medaglie d’argento al valor militare che conquista, “il Genero” si distingue in imprese quali la distruzione di centri carovanieri, attacchi dal cielo ad accampamenti di nomadi e bombardamenti su postazioni di munizioni le cui uniche difese antiaeree sono costituite da mitragliatrici a terra e dai vecchi fucili in dotazione all’esercito etiopico, per il resto praticamente privo di una forza aerea che possa contrastare gli italiani.
Tornato dalle glorie africane riprende alla grande la carriera diplomatica: viene nominato ministro degli esteri, il più giovane della storia d’Italia, succedendo nella carica al suocero. Tra i suoi primi successi diplomatici si conta l’assassinio dei fratelli Rosselli in Francia e più in generale l’intensificazione della repressione contro gli antifascisti all’estero.
Al Genero però tocca anche la guida della diplomazia italiana negli anni del sorpasso nazista come guida dei fascismi europei. Dopo gli accordi di Monaco del 1938, in cui accompagna Mussolini a cercare una mediazione sul problema dei Sudeti in Cecoslovacchia, mediazione che si conclude con la totale accettazione del diktat di Hitler, Galeazzo Ciano ha la capacità di comprendere prima e meglio di altri la subalternità crescente degli italiani nei confronti del sempre più ingombrante alleato nazista.
Messo a capo del partito “antitedesco” nei febbrili periodi che precedono lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Ciano cerca, mettendosi per la prima volta in evidente contrasto col suocero, di fermare il totale allineamento del fascismo italiano alla causa hitleriana.
Su questa posizione, negli anni del dopoguerra, nasce un vero e proprio mito riguardante le capacità e le presunte intuizioni da statista del genero di Mussolini. Mito alimentato in buona parte dalla pubblicazione del famoso diario del ministro degli esteri.
Un’opera controversa, che raccoglie le memorie di Ciano dal 1937 al 1943. Più volte rimaneggiato e ritoccato per esaltare la sua figura diplomatica e sminuirne gli errori di valutazione e le contraddizioni, il diario rimane oggi una testimonianza importante perché offre un quadro prospettico di una delle stagioni più tragiche della storia del paese, quadro che in buona parte si distacca dalla propaganda totalitaria costruita dal regime; oltre a questo, fornisce uno spaccato desolante della politica fascista e dei suoi rapporti, tra il mafioso e il clientelare, con gli altri organi di potere dell’Italia del tempo.
Un diario che racconta molto soprattutto del testimone che lo redige, simbolo involontario di un’intera classe dirigente che per un ventennio ha prosperato dominando l’Italia attraverso una fitta rete di interessi comuni; una rete che per il Genero si rivelerà mortale.
Quando la guerra da lui osteggiata appare evidentemente persa, Ciano insieme ad altri gerarchi si rende protagonista dell’autogolpe fascista del 25 luglio: convinto come altri di poter salvare il regime sacrificandone il capo, vota e fa votare contro il duce nella seduta del Gran Consiglio (potete leggere qui il nostro approfondimento sulla serie tv La lunga notte - la caduta del Duce). Una delle poche decisioni prese in autonomia dal suocero e a lui chiaramente contraria; una decisione che per Ciano si rivelerà letteralmente mortale.
Nel dopoguerra, complice la diffusione e rilettura del suo diario “corretto” e di varie interviste rilasciate da Edda Mussolini, la figura di Galeazzo Ciano si è nel tempo staccata dalla figura descritta malignamente dai contemporanei, quella cioè di arrampicatore sociale vanesio e raccomandato.
Anche la sua fine tragica ha contribuito ad attorniare l’immagine di Ciano di un’aura diversa da quella che lo aveva accompagnato in vita: l’opposizione a Hitler da alcuni è stata raccontata come una sorta di improbabile antinazismo fascista, mentre la dimensione anche di intimità parentale della sua fine violenta ne hanno fatto, paradossalmente, uno strumento utile al rafforzamento dell’immagine già mitizzata di un duce che, col travaglio interno del tradimento del genero, prende quasi i tratti del protagonista di una tragedia greca.
In determinate narrazioni nostalgiche Ciano diviene il contraltare giovanile e umano di un Mussolini invecchiato e stanco che dopo l’8 settembre si presta ad essere burattino dell’alleato nazista: quasi a rivestire il ruolo di possibile successore benigno che, forse, avrebbe potuto prendere le redini di una dittatura sclerotizzata incarnando al contempo le speranze di un possibile “fascismo dal volto umano”.
Oggi, riesaminando a distanza di ottant’anni la vita di Galeazzo Ciano attraverso le fonti documentali e testimoniali, sotto la patina del racconto riparatore postbellico si nota soprattutto la parabola di quello che appare come un esempio del sistema di potere clanico tipico del fascismo italiano.
Galeazzo Ciano è l’incarnazione stessa della concezione mussoliniana dello stato e delle istituzioni che lo animano: il fascismo è un’organizzazione che punta all’occupazione e al mantenimento del potere selezionando la propria classe dirigente in base a criteri di vicinanza amicale, familiare e di interessi ma non di merito; un regime, per citare una brutta definizione, “familista e amorale”, in cui la cosa pubblica è, soprattutto, “cosa nostra”.
Di
| Mondadori, 2019Di
| Feltrinelli, 2022Di
| Salerno Editrice, 2018Di
| Laterza, 2022Di
| Feltrinelli, 2017Di
| Laterza, 2020Di
| La nave di Teseo, 2019Di
| Ugo Mursia Editore, 2013Di
| libreriauniversitaria.it, 2014Di
| Mondadori, 2000Ti potrebbero interessare
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