Il 27 gennaio 1973 vengono firmati a Parigi gli “accordi di pace” tra gli Stati Uniti, il Vietnam del nord, il Vietnam del sud e i guerriglieri Vietcong (con il nome di Repubblica del Sud Vietnam assunto nel 1969).
I colloqui erano iniziati quattro anni prima tra Henry Kissinger e Lê Đức Thọ, subito dopo il giuramento prestato da Nixon come nuovo presidente degli Usa, ed erano stati caratterizzati da controversie procedurali e da un sostanziale immobilismo mentre la guerra infuriava, la presenza americana cresceva e oltre al Vietnam del nord venivano coinvolti nei bombardamenti anche la Cambogia e il Laos. A ottobre del 1972, dopo il fallimento di una nuova offensiva Vietcong e la recrudescenza dei bombardamenti americani si giunse a un compromesso che aprì la strada agli accordi del 27 gennaio successivo.
I punti salienti dell’accordo riguardavano: il rispetto dei diritti fondamentali del popolo vietnamita; l’autodeterminazione del popolo sud-vietnamita; la cessazione dell'attività militare USA e il ritiro di tutte le forze militari americane; la riunificazione pacifica del Vietnam e l’Impegno americano alla ricostruzione del Vietnam del Nord. Il governo del Sud si sentì abbandonato dagli americani e il presidente Nguyễn Văn Thiệu dovette accettare l’esistenza formale della Repubblica del Sud Vietnam e la presenza militare di truppe nordvietnamite accanto a quelle vietcong. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto ritirare entro sessanta giorni tutti i propri militari. Kissinger e Lê Đức Thọ ricevettero quell’anno il Premio Nobel per la pace ma il vietnamita lo rifiutò motivando la sua scelta con la mancanza, ancora, di pace nel suo paese.
Il ritiro dei soldati militari non significò la fine del conflitto e dei combattimenti tra le forze vietcong e l’esercito sudvietnamita. Fu soltanto due anni dopo che la guerra ebbe fine, con la sconfitta di quest’ultimo e la fuga precipitosa del personale americano ancora presente sul posto, sugli elicotteri accerchiati dai funzionari locali lasciati alla vendetta dei nuovi vincitori, come fu visto da tutto il mondo. A questo si aggiunse, ancora dopo, la tragedia dei boat people, i vietnamiti spinti a fuggire in imbarcazioni di fortuna dalla durezza della dittatura comunista e della collettivizzazione delle terre.
La guerra in Indocina era durata quasi trent’anni, i primi otto tra i partigiani Việt Minh e gli occupanti francesi, e si era conclusa con il riconoscimento dei due Vietnam del Nord e del Sud. In quest’ultimo, tuttavia, fin dal 1955 erano iniziate le azioni di guerriglia, che crebbe fino alla creazione, nel 1960, del Fronte di Liberazione Nazionale dei Vietcong. Il 1959 gli Usa inviarono i primi consiglieri militari, con una continua escalation che si accelerò nel 1964 con i primi bombardamenti ordinati dal presidente Johnson sul Vietnam del Nord, in seguito all’incidente del Tonkino, costruito ad arte su false notizie e informazioni per legittimare con la menzogna il proprio intervento.
La guerra non lasciò soltanto un alto numero di vittime anche tra gli americani (quasi 60.000 morti e 200.000 feriti, oltre a una spesa complessiva di 150 miliardi di dollari – oltre duemila miliardi attuali), ma soprattutto sconvolse la società vietnamita, con almeno due milioni di morti (di cui oltre la metà civili) e una devastazione ambientale senza pari, frutto degli intensi bombardamenti (superiori a quelli usati in tutta la Seconda guerra mondiale) e dell’uso del napalm, i cui effetti sarebbero rimasti per decenni sulle terre vietnamite.
La protesta contro l’intervento americano in Vietnam negli anni ’60 e fino agli accordi pace fu la più grande mobilitazione di massa che si ebbe a livello internazionale, e costituì un profondo e continuo elemento di radicalizzazione politica per gli studenti e i giovani che avrebbero dato vita al Sessantotto.
Di
| Rizzoli, 2000Di
| Il Mulino, 2020Di
| Il Saggiatore, 2008Di
| LEG Edizioni, 2017Ti potrebbero interessare
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