La redazione segnala

Una storia di abuso e riscatto: una per tutte, tutte per una

Una delle ultime cose che mi ha detto prima di terminare il racconto è stata: “Vorrei che riuscissi a esprimere con parole migliori delle mie quanto è lacerante sentirsi in un vortice dove continui a mettere in discussione anche come hai piegato una maglietta”.

Laura – useremo questo nome di fantasia per narrare la sua storia – è giovane, non ha ancora trent’anni e vanta già un percorso ricco di soddisfazioni professionali, tanto che quando conosce “Lui” si trova nella fase iniziale di una carriera che promette grandi cose e che le sta già dando molto. È brava e lo sa.

S’incontrano in due stagioni di vita differenti e questo è un dettaglio non trascurabile: lei in ascesa, lui – più grande di quindici anni – senza una direzione ben definita. “Non sapeva ancora cosa voleva fare da grande” mi dice Laura, e io penso subito, prima ancora che sia lei a togliermi il dubbio, che quel fattore avrà un grande peso nella loro storia.

Perché la manipolazione – o il tentativo di – inizia quando Lui percepisce chiaramente di non essere al suo stesso livello.

La frustrazione che origina dal confronto non è solo la presa di coscienza che c’è qualcuno che riesce meglio di te, ma che questo qualcuno, nello specifico, è una donna. La tua.

Fin da subito si pongono le basi per una storia che non è d’amore ma di potere, e torniamo alla questione di sempre. “Cosa posso fare più di te? Cosa puoi fare meglio di me? Come posso controllare e distruggere tutto ciò che realizzi mentre io resto fermo al punto di partenza? Come posso controllare te, che sei il motore ideale delle mie sconfitte, delle mie incapacità?”

Non si sono invertiti i ruoli. Oggi, piuttosto, le donne sono libere di realizzarsi come prima non avevano mai potuto e osato fare.

Sono più produttive, hanno maggior capacità di gestione e raggiungimento dell’obiettivo, sanno ascoltare e ascoltarsi, e, abituate a dover sempre dimostrare il loro valore, s’impegnano con maggior costanza e alla fine raggiungono la mèta nello stupore generale di chi le crede ancora deboli e inadatte.

Laura è una di queste donne, e Lui l’ha capito: cerca fin da subito di minare il suo terreno emotivo e relazionale, di mostrarle cose che non esistono, di raccontarle la vita attraverso l’unico sguardo che possiede, quello di un uomo adulto che ha molto da insegnare e grandi esperienze di cui vantarsi.

Ecco, le esperienze. Alla giovane Laura mancano, perché come qualunque individuo deve avere il tempo di compierle mediante un percorso di crescita e di conoscenza del sé. Laura sta facendo questo, si sta scoprendo pian piano, si misura con la propria identità e cerca una via di maturazione e accettazione.

Ma cosa succede quando, pur innamoratissima, Laura non cede di fronte a quelle che soltanto molto tempo dopo percepirà come “trappole”? Cosa fa quel compagno che, nascosto dietro il ruolo di maestro, tenta di minare le sue certezze lavorative e famigliari? Scova il punto debole e si accanisce là dove Laura si sente vulnerabile: l’aspetto fisico, la sua femminilità.

Scruta il modo in cui si veste, l’osserva mentre si trucca, commenta dicendole che non ha mica capito se Laura si piace, e non ha capito nemmeno se, dopotutto, vuole decidere a mettersi a dieta oppure no. E poi lo smalto: ché tutte le sue amiche ce l’hanno e lei no? Laura lo compra. Se lo mette. Non ci si vede, non è il suo, non gliene importa nemmeno di averlo, è abituata a mangiarsi le unghie, ce le ha cortissime. Però lo fa.

Laura si mette in discussione, accetta quello che in un primo momento le sembra solo un consiglio. Eppure inizia a sentirsi sbagliata.

Qualcosa le manca, agli occhi di lui. Qualcosa che forse le altre hanno e lei no. Il giudizio di un compagno con cui condividere una casa e la quotidianità ha un valore, perché è lo stesso valore che attribuiamo alla persona che ce lo comunica. Ci fidiamo, amiamo, crediamo. Ascoltiamo, ci mettiamo in gioco e non crediamo mai che il nostro sia l’unico punto di vista sul mondo.
Ma Lui sì.

Mangiato vivo dalla frustrazione, Lui non fa che cercare una preda su cui esercitare un potere che altrimenti non avrebbe. Storie di potere, mai d’amore.

Passano i mesi e Laura si sente sempre più a disagio in casa propria, assieme a Lui. Resta solo un terreno che crede ancora illeso, intimo, un territorio di pace, ed è il sesso. Non fatica a raccontarlo, Laura, o almeno così pare, ma immergersi nelle sue parole è comunque una sofferenza: “Mi ha umiliata anche in quel momento”, ammette, “Mi ha detto che non avevo mai scopato bene, che non sarei mai stata una persona erotica”.

L’umiliazione è parte fondante di quei meccanismi di potere, la sottomissione è l’unico mezzo con cui Lui non solo e non tanto tiene sotto controllo Laura, ma con il quale può emergere in tutta la sua rabbia. Se non puoi essere Qualcuno, distruggi Qualcun altro. Da sottile, la violenza psicologica che Laura subisce diventa sempre più palese, esplode addirittura in fenomeni di vero e proprio Gaslighting, fin quando – ce l’ha ben chiaro una di quelle sere – non è la paura a prendere il sopravvento.

Il terrore di rimanere nella stessa stanza insieme al suo compagno. La tensione sta per trasformarsi in violenza fisica, potrebbe tracimare da un momento all’altro e lei lo intuisce. “Il giorno dopo gli ho detto che avevo bisogno di una pausa, ho messo in valigia quattro mutande e sono scappata a casa dei miei. Quindici giorni dopo gli ho detto di stracciare il contratto d’affitto, per me era finita”.

Com’è riuscita, Laura, a sfilarsi da quel buco nero che era diventata la sua relazione? Due sono stati gli strumenti di cui si è servita: la scrittura, perché mettere nero su bianco, così come venivano, i suoi stati d’animo, l’ha aiutata a fare ordine, a poco a poco, nella confusione dei suoi pensieri. E poi la terapia, indispensabile e risolutiva.

Ancora una volta, ci troviamo di fronte a un fatto: l’intelligenza di chi si mette in discussione, di chi vuol provare a capire il mondo e le persone che lo abitano, la buona fede di chi è abituato per natura a dover dimostrare il proprio valore, ascoltando gli altri e non fermandosi al primo ostacolo, diventano – nelle mani di uomini rabbiosi e frustrati – mezzi attraverso cui sperare di esercitare il proprio potere. Non è debolezza, quella di Laura; non è mai debolezza quella di donne come lei. È senso dell’umano.

Ma cosa esiste al di là della relazione tossica? Cosa esiste al di là della sottomissione, oltre il giudizio? La libertà, certo, quella che Laura ha provato subito dopo il trasloco. E poi? Esiste la vita, quella che va spiegata ai genitori, così come ha fatto lei. Esiste la colpa, quella che ha provato verso sé stessa, quella a cui l’ha condannata chi le ha detto che era una donna incontentabile.

Esiste, insomma, la vita intima, nascosta dietro le vite di tutti gli altri; continua a esistere il giudizio, di altra natura e di altro peso; continuano a esistere le esigenze della società, la complessità di dover dare un senso collettivo, oggi, alla parola libertà – per tutte le donne, giovani e meno giovani.

Esiste la difficoltà di dover spiegare ancora una volta cosa significhino le parole consenso, manipolazione, fiducia e debolezza. Tutti termini che nel corso degli anni hanno cambiato sfumatura, e che ancora adesso vengono pronunciati con un grande margine di errore.

Torno alle parole di Laura: “Sono sensazioni difficili da spiegare a chi non le ha vissute”, e perfino io che sto scrivendo la sua storia mi domando quanto sono riuscita a cogliere di quel che mi ha raccontato. Come si descrive, senza banalizzarlo, un dolore impalpabile e costante? Come si fa a dare forma alla paura, a quella angosciante, pervasiva sensazione di fare sempre la cosa sbagliata? Come si può far capire a chi non l’ha mai provato cosa significhi vivere perennemente sotto giudizio?

“Ero trattata come un’alunna”, mi dice infine Laura, “E per tanto tempo ho pensato che questa storia mi qualificasse”. Le relazioni tossiche non sono quindi soltanto storie di potere, ma sono soprattutto storie di annullamenti, storie in cui si distruggono identità e si minano certezze, storie attraverso cui, una volta terminate, ci si può forse riconoscere individui nuovi, liberi finalmente ma soprattutto più forti. Donne, senza se e senza ma.

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