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Come comunicare la crisi climatica

Nel corso del 2022 Greenpeace, in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia, ha monitorato articoli, programmi tv e telegiornali italiani per analizzare quanto e come si parla di clima sui nostri mass media.
Hanno poi raccolto e analizzato i dati che hanno ricavato nel report L’informazione sulla crisi climatica in Italia. L’importanza di questo tipo di studi per affrontare la crisi climatica non è da sottovalutare: i livelli di cambiamento e di coinvolgimento della popolazione necessari in questa sfida esigono che le persone sappiano davvero di cosa si stia parlando.

Non bastano infatti racconti sulle catastrofi ambientali o riassunti delle conferenze internazionali sul clima. Bisogna sottolineare le cause e individuare i responsabili per fare in modo che la cittadinanza sappia che i cambiamenti di cui abbiamo bisogno sono sistemici e hanno poco a che fare con le piccole abitudini quotidiane.
Basti pensare che secondo una ricerca del Carbon Majors Database solo 100 compagnie causano il 71% delle emissioni responsabili della crisi climatica.

Secondo il report di Greenpeace però le cause della crisi sono messe in luce in poco più del 20% degli articoli che la citano e in meno dell’8% dei servizi dei telegiornali in cui si parla di clima.
Tra queste cause, i combustibili fossili (che sono la maggiore fonte di emissioni di gas serra) sono citati nel 25% dei casi. Tra i soggetti nominati negli articoli, solo poco più del 4% di essi viene annoverato tra i responsabili della crisi climatica, quota che scende a 2.6% per i servizi nei TG. Questo significa che le persone non connettono la crisi climatica all’industria fossile e non sanno da chi pretendere risposte e cambiamento. Anzi, molto spesso il messaggio che traspare è che la colpa è di tutti e che siamo sicuramente destinati a morire come specie.

Teoricamente, attivare i cittadini sul tema non è un dovere dei giornalisti. Ma dire la verità fa sicuramente parte dell’etica del mestiere e, nel momento in cui si tralasciano determinati elementi chiave del discorso (come, appunto, i responsabili e i combustibili fossili) si restituisce al lettore una visione distorta del fenomeno e se ne influenza l’interpretazione e la reazione.
La verità da sola è già l’elemento base per mobilitare tramite l’informazione. Ad essa vanno aggiunte sicuramente la spinta emotiva e le proposte d’azione.

Questi elementi sono parte della teoria dell’elefante e del cavaliere elaborata dallo psicologo sociale Jonathan Haidt. Per ottenere cambiamenti comportamentali dalle persone, Haidt invita a considerare la mente umana divisa come un cavaliere su un elefante.
Il cavaliere è la parte razionale della nostra mente e guida l’elefante, la parte più emotiva, che deve però ricevere la giusta spinta, altrimenti va nella direzione opposta, si impunta, si ferma.
Per facilitare il viaggio dell’elefante e del cavaliere è anche utile un percorso chiaro e ben tracciato. Difficilmente la motivazione (l’elefante) e i suggerimenti d’azione (il percorso) spettano ai mass media, ma senza informazioni chiare, veritiere e trasparenti, anche la nostra razionalità (il cavaliere) non sa dove andare a parare.

Di conseguenza, come si dovrebbe parlare di crisi climatica nei mass media? Innanzitutto attivamente, deve essere considerata una notizia a prescindere dai click e dallo share. Secondo l’analisi di Greenpeace e dell’Osservatorio di Pavia, quasi il 70% degli articoli che nominano la crisi climatica la citano soltanto, non la trattano in modo specifico.
È inoltre fondamentale evitare il disfattismo e il focus sulle azioni individuali. Scoraggiano la lettura, allontanano le persone e non sono approcci basati sulla scienza del clima.

Creare urgenza è fondamentale, ma dire che siamo già sconfitti è errato e fa il gioco di coloro che guadagnano grazie alla mancanza di azione. Queste persone e aziende vanno individuate chiaramente: stanno mettendo a rischio la vita umana sul pianeta e molto spesso lo fanno alla luce del sole, pubblicando dati sui loro investimenti. Una buona fonte di informazione ha il dovere di evidenziare le connessioni tra questi dati e ciò che sta succedendo all’ambiente.

Infine, come parlare dell’attivismo per il clima? Sottolineando ciò che gli attivisti chiedono e il discorso in cui si inseriscono. Non sono eroi, non sono martiri, non sono criminali: sono persone che compiono determinate azioni per mandare dei messaggi chiari.
Che piacciano o no, distogliere l’attenzione dal messaggio mettendola sull’attivista in sé rischia di trasformare l’informazione in pettegolezzo. Credo che sia abbastanza condiviso che il giornalismo sia e debba essere molto di più.

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