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C'era una volta in America compie quarant'anni

© Mymovies

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Quarant'anni fa usciva nelle sale quello che da molti è considerato il capolavoro definitivo di Sergio Leone: C’era una volta in America, incentrato sulla mafia newyorchese ebraica a cavallo tra le due grandi guerre. Che sia il suo miglior film è probabilmente condivisibile, ma al contempo è beffardo, per l’uomo che ha consacrato la propria vita artistica al western, creandone un sottogenere – lo spaghetti-western – assurto alla forza di quello primigenio, per alcuni aspetti altresì superandolo. (QUI potete leggere il nostro approfondimento su Sergio Leone)

C'era una volta in America (DVD)

Anni Venti: due ragazzini ebrei, Max e Noodles, iniziano la loro carriera nella malavita facendo piccoli traffici. Noodles, innamorato di Deborah, finisce in prigione e ne esce durante il proibizionismo.

Leone smette di girare film come regista nel 1971. Attende interminabili tredici anni per impadronirsi nuovamente della sedia cruciale del set. Nel frattempo, fa il produttore. Di film peraltro interessanti, va detto. Tuttavia, imparagonabili alla sua capacità autoriale quando è il suo stesso occhio dietro la macchina da presa.

Meriterebbe un articolo a parte il modo con cui mise le mani sui diritti del libro da cui è tratto il film. Parliamo di The Hoods, scritto dall’ex criminale Harry Grey, di fatto autobiografico. Leone ha un debito culturale con la cultura a stelle e strisce, con la sua grandezza e la sua violenza, con i suoi controsensi e il suo essere struggente, con la sua costante ricerca del Mito e col suo l’essere “bigger than life”.

Chiacchierando a Cannes col produttore israeliano Arnon Milchan (altro soggetto degno di un film, dato che pare la sua fortuna fosse cresciuta parallelamente a loschi traffici di armi), scoprì che quest’ultimo sarebbe stato interessato a realizzare con il filmmaker quell’epopea su tempo, crimine e amicizia. Una volta ottenuto l’ok di Robert De Niro, probabilmente con Al Pacino e Jack Nicholson il più importante attore in circolazione in quel momento storico, la produzione mise le ali e giunsero James Woods, che era in rampa di lancio, le poco note ma perfette Jennifer Connelly ed Elizabeth McGovern, Treat Williams, Tuesday Weld e Burt Young, per chiudere con due icone dei mafia-movie di Martin Scorsese: Danny Aiello e Joe Pesci.

Il film, di cui Leone già parlava al termine di C’era una volta il West e le cui riprese durarono esattamente un anno, ebbe una storia travagliata, anzitutto per colpa dei produttori americani della Ladd Company che lo ridussero (un film di quasi quattro ore!) a 135’ tra le mani del montatore Zach Staenberg, oltretutto assestandolo in ordine cronologico e di fatto condannandolo a un fiasco garantito: un crimine artistico. Inevitabilmente, orbo del successo americano, la splendida epica di Leone finì col giungere giusto in prossimità della copertura dei costi, senza guadagnare nulla. L’autore non nasconderà mai il proprio dolore per questa esecrabile azione.

C’era una volta in America – che si avvalse ancora del supporto straordinario di Morricone alle musiche, Simi alle scenografie e Delli Colli alla fotografia – avvolge e annichilisce come una lunga pipata nella fumeria d’oppio nella quale si apre e chiude il film, non permette di godere di un solo personaggio interamente buono e puro e racchiude in sé la visione pessimista del suo maestoso, irripetibile autore.

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