I lettori forse non lo sapranno, ma in giapponese esiste un termine specifico per indicare la mania di accumulare decine e decine di libri senza poi decidersi a iniziarne nemmeno uno. Si tratta della pratica dello tsundoku, parola che unisce sunde, ovvero “impilare cose” e oku, che significa “lasciare lì per un po’ di tempo.”
Lo tsundoku è una pratica comune a fin troppi bibliofili, tuttavia è impossibile trovarne un corrispettivo italiano. Inutile invocare il potere di Google Translate: di fronte a una parola intraducibile c’è ben poco da fare se non rifarsi a una perifrasi.
Lo sguardo di due persone che si piacciono ma hanno paura di fare il primo passo (mamihlapinatapei, nel dialetto yamana della Terra del Fuoco), il senso di quieto conforto che si prova stando in casa con gli amici durante una notte fredda (per gli olandesi, gezelligheid) o ancora l’idea di svegliarsi all’alba con l'intento di uscire e sentire il primo canto degli uccelli (gökotta, in svedese): sensazioni che probabilmente abbiamo provato tutti, ma che non siamo mai riusciti a esprimere, almeno nella nostra lingua.
Le parole intraducibili esercitano un fascino inspiegabile fin dai tempi della Torre di Babele, ma solo negli ultimi tempi hanno dato vita a un trend letterario.
Ecco un elenco di 10 libri interessanti per scoprire delle parole o dei modi di dire che esistono solo in una determinata lingua o per approfondire dei concetti come hygge e schadenfreude, ormai noti anche nel nostro Paese, ma impossibili da definire in modo univoco.
Ella Sanders prosegue il suo giro del mondo, con il pennello in mano, su tappeti volanti di parole. Questa volta ha catturato immagini bizzarre e fantasiose inventate per prenderci in giro, per esprimere stati d'animo con leggerezza, per parlare di noi.
Anna Aslanyan - giornalista russo-inglese con molti anni di esperienza nel settore - esplora i retroscena di astuzia e ambizione, che hanno avuto come protagonisti i professionisti della traduzione, scoprendo fin dove può arrivare un semplice malinteso.
Un dizionario nel quale il lettore troverà, accanto ai termini più diffusi del dialetto parlato oggi a Napoli, altri vocaboli relativi a oggetti, attività o personaggi quasi del tutto scomparsi dalla realtà quotidiana della città, ma non dalla memoria dei parlanti.
Tradurre è un’arte magica, perché ogni parola apre un mondo. Le parole intraducibili sono potenti grimaldelli: svelano di un popolo certi vizi e certe virtù. Sapevate che i brasiliani hanno una parola per definire la carezza tra i capelli dell’amato?
Ogni lingua ha una diversa prospettiva per interpretare il mondo, e dunque delle parole uniche, che non esistono in nessun'altra, che non si possono tradurre direttamente. Queste gemme fioriscono ancor di più nei dialetti.
Il libro nasce da una serie di conferenze tenute da Umberto Eco sul tema della traduzione: testi si propongono di partire da esperienze pratiche, quelle che l'autore ha fatto nel corso degli anni come correttore di traduzioni altrui, come traduttore in proprio e come autore tradotto.
Gli insegnamenti che arrivano dal Giappone sono più attuali che mai, anche in Occidente. Ma in cosa consiste esattamente lo spirito giapponese? L'antico nome del Giappone era Yamato che, scomposto nei suoi ideogrammi, significa oggi «Grande Wa», cioè «Grande Armonia».
«La sfortuna degli altri è dolce come il miele», dice un antico proverbio giapponese, mentre i soliti, pragmatici tedeschi l'hanno detto con una parola sola: Schadenfreude, "la gioia per le disgrazie altrui".
Il kintsukuroi è l'antica arte giapponese del riparare le ceramiche frantumate: se un vaso va in mille pezzi, se ne raccolgono i frammenti e si saldano riempiendo le crepe sottili con pasta d'oro o d'argento. Non nascondono le fratture, ma le esaltano.
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