L’Intelligenza Artificiale (IA) è un campo di ricerca in continua evoluzione che ha visto grandi progressi negli ultimi anni. L’IA si riferisce alla capacità di un computer o di una macchina di imitare l’intelligenza umana per eseguire compiti specifici. L'evoluzione dell’IA è stata guidata da numerosi fattori, come l’aumento della potenza di elaborazione, l’accesso a grandi quantità di dati e l’avanzamento delle tecniche di apprendimento automatico. L’IA è stata utilizzata in vari settori, incluso il riconoscimento vocale, la visione artificiale, il riconoscimento facciale e la guida autonoma. Negli ultimi anni, l’IA ha anche mostrato grandi progressi nel campo della medicina, dell’istruzione e dell’industria manifatturiera e dell’arte.
Quello che avete appena letto qui sopra è un testo scritto dall’intelligenza artificiale – diciamo un’intelligenza nella media, senza infamia e senza lode, che ha risposto alla consegna: «parlami dell’intelligenza artificiale». È sorprendente, però, che questa risposta ci sia, e sia, se non accattivante (sicuramente a causa anche del tool gratuito utilizzato), quantomeno completo nella sua brevità. E se questo può essere un grande vantaggio perlopiù per studenti impigriti e dipendenti alle prese con l’ennesima presentazione PowerPoint che non leggerà nessuno, l’intelligenza artificiale, in tutti i campi in cui sta evolvendo, fa progressi impensabili e impensati. Il che ha delle conseguenze, anche sull’arte.
È una crisi esistenziale, che coinvolge persone che sono già inclini alle crisi esistenziali
Niente panico – o forse sì, dipende dalla parte in cui sedete: qui non ci saranno allarmismi. Non si parlerà di fine dell’umano né di fine dell’arte. Si cercherà solo di capire qualcosa, e non sarà moltissimo, visto lo spazio a disposizione, ma con la bibliografia che trovate più sotto ci sarà modo di approfondire quanto volete.
Il bello di quando ci si confronta con qualcosa di altro rispetto all’essere umano è che tutti si arrovellano per capire che cosa distingua l’umano dal resto. Tutti, davvero, anche chi non ha mai avuto occasione o capacità per interrogarsi sullo statuto ontologico dell’uomo. E oggi che l’intelligenza artificiale è andata a toccare l’intoccabile, la sacra arte, da destra e da manca ci si affanna per trovare che cosa distingua l’arte umana da quella di una macchina. A ragione, mi verrebbe da dire: chi vive del proprio lavoro artistico percepisce una minaccia in arrivo, e deve tutelarsi come può.
Perciò si sente dire che l’arte, per essere tale, deve avere una componente di sofferenza, e la macchina non soffre mentre produce. Se scrivo un romanzo, sto esplorando gli anfratti più torbidi e dolorosi del mio io, e ciò che ne esce è tanto più meraviglioso quanto più ha attinto con consapevolezza da quella materia viva. Un’intelligenza artificiale non può farlo: il suo prodotto, per quanto gradevole, sarà sempre il freddo risultato di un calcolo, di una collazione di esperienze sotto forma di algoritmi. Non c’è umanità, lì, solo tecnica. Si cita poi la questione dell’immediatezza, per cui a seconda della potenza della macchina un’opera è creata in pochi secondi o millisecondi, mentre un essere umano si sforza per creare.
Verrebbe da dire che la condizione umana, leggendo queste obiezioni, sia particolarmente incline al dolore, e che sia questo sentimento il discrimine tra uomo e macchina. Chissà che non sia davvero così, o che il discrimine sia il sentimento in generale, o che un giorno non ci sia più nessuna distanza e che saremo del tutto sovrapponibili con le macchine e fusi con loro. Del resto, l’intelligenza artificiale ci serve per capire quella umana: la studiamo e la creiamo per capire come funzioni il nostro cervello nei suoi luoghi più intimi e profondi. E quando riusciamo a far replicare da una macchina esattamente ciò che fa l’uomo abbiamo fatto bingo, per quanto ci faccia paura, perché rispondiamo a una domanda. Per esempio, quanti di voi saprebbero davvero rispondere a questa: «che cos’è, in fin dei conti, l’arte?»
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