Giorno della Memoria: 10 libri consigliati dalla nostra redazione

“Lo ripeto, non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. E’ questa una nozione scomoda, di cui ho preso coscienza a poco a poco…Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che per loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare, o è tornato muto; ma sono loro, i “sommersi” i testimoni integrali…loro sono la regola, noi l’eccezione“.

Germania, 1933. L’amicizia fra due ragazzi – il primo figlio di un medico ebreo, l’altro ricco rampollo di una famiglia aristocratica – viene travolta dall’inesorabile slavina degli eventi. Un racconto toccante che ci mostra come storia privata e Storia con la maiuscola spesso si intreccino.

Un modo efficace per evocare la misura della tragedia che fu l’Olocausto è forse seguire i cerchi che questo irradiò intorno a sé, un’onda centrifuga di morte e annichilimento. Onde concentriche nello spazio di un’Europa in disgregazione e delle comunità che furono annientate, certo, ma anche nel tempo, perché anche prima dei forni e di Auschwitz i segni di una catastrofe già in atto erano chiari e visibili agli spiriti più liberi e attenti. Bruno Schulz, ebreo galiziano di Drohobycz, ci lascia con “Le botteghe color cannella” la radiografia poetica di un mondo che di lì a breve sarebbe stato cancellato, eternandone i riti, i miti, la lingua e le immagini (oltre che grande narratore, Schultz fu anche splendido disegnatore) in una panoplia di racconti da conservare – e tornare a guardare di tanto in tanto - come biglie di vetro colorate in uno scrigno preziosissimo.

Hannah Arendt e le sue cronache del processo ad Otto Adolf Eichmann, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960 e portato dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme con quindici capi di imputazione, per aver commesso crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l'umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista.

Un romanzo dalla scrittura misurata, a tratti delicata, ma con una forza espressiva perfettamente in grado di descrivere la violenza e gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. È una storia di voci, di suoni, di esplosioni di granate ma anche di silenzi, di occhi che si incrociano e si riconoscono anche senza parlare la stessa lingua. Mai banale, struggente senza cadere nel melodrammatico spicciolo.

Un romanzo epistolare fulminante e imprevedibile sul legame fra due soci in affari, uniti da una profonda amicizia e divisi dall’ascesa del Terzo Reich. Un libro quanto più premonitorio, se si considera che è stato scritto nel 1938 (appena prima che Hitler si levasse la maschera e rivelasse le sue reali intenzioni).

Un narratore senza nome ci guida fra i suoi ricordi d'infanzia, nei suoi primi incontri con i figli dei Finzi-Contini, Alberto e Micòl, suoi coetanei resi irraggiungibili da un profondo divario sociale. Ma le leggi razziali, che calano sull'Italia come un nubifragio improvviso, avvicinano i tre giovani rendendo i loro incontri, col crescere dell'età, sempre più frequenti.

Il libro che ha ispirato il film “Jojo rabbit” (Oscar per la miglior sceneggiatura non originale nel 2020) si discosta molto dalla surreale pellicola diretta da Taika Waititi. Resta solo l’intuizione di base: cosa succederebbe se un giovane nazista, ossessionato dalla ragazza ebrea che si nasconde in casa sua, per continuare a tenerla prigioniera le mentisse sul reale esito del secondo conflitto mondiale?

Il fumetto più famoso sulla Shoah, la storia di Vladek, padre di Art Spiegelman, dalle persecuzioni al campo di concentramento alle difficoltà della vita post-bellica. Tratteggiando gli ebrei come topi e i nazisti come gatti, Art Spiegelman ci racconta la storia delle persecuzioni naziste, la storia dei suoi genitori e la sua, perché dell’orrore non si possono liberare neanche i figli dei sopravvissuti.

Una lettera al padre, che insieme a lei, viene consegnato ai campi di concentramento e la rincuora così “«Tu tornerai, Marceline, perché sei giovane»” Un flusso di ricordi breve ma torrenziale, pieno di pathos, animato da un’incrollabile voglia di sopravvivere, rende impossibile staccare gli occhi dalle pagine di una delle testimonianze più forti consegnateci dalle vittime della Shoah.