La felicità in fondo è sempre un'eccezione alla regola. È sempre una piccola rivoluzione che scompagina l'assetto ordinario della vita e, anche se dura per pochissimo, dà senso a ciò che viene dopo
Ci sono scrittori che differiscono in toto dai personaggi dei propri romanzi, ma non è il caso di Diego De Silva. A sentirlo parlare a volte sembra di trovarsi di fronte all’avvocato Vicenzo Malinconico, protagonista di una fortunata saga di romanzi giunta ora al suo sesto capitolo.
È infatti appena uscito in libreria Sono felice, dove ho sbagliato?, un libro che fin dal proprio titolo si dimostra pervaso dalla quieta mestizia tipica del suo protagonista, qui alla presa con una coppia in crisi desiderosa di intentare una causa epocale per l'infelicità coniugale. Una class action paradossale che pone l’avvocato di fronte all’aspetto privato del diritto privato, costringendolo a fare i conti con tutti i propri limiti umani ed emotivi.
Vincenzo Malinconico è tornato ed è alle prese con un'ingiusta causa. D'amore. Già, c'è di mezzo l'amore anche stavolta, ma un tipo d'amore con cui Malinconico non ha avuto ancora a che fare, professionalmente parlando: l'amore impantanato, quello di chi pensa di avere diritto a un risarcimento per il dolore.
Nella nostra intervista con Diego De Silva ci facciamo raccontare di cosa davvero lo manda fuori di testa quando guarda un film e del motivo per cui preferisce lasciare una briglia lunga ai suoi personaggi, convinto com’è che una volta che hanno acquisito una propria tridimensionalità e fisionomia riconoscibili debbano essere lasciati liberi di muoversi per il mondo.
Penso che la narrazione funzioni come la musica: ci sono delle cose che possono accadere all'interno di un certo percorso armonico, quindi se tu hai ben impostato il personaggio questi comincia a parlare con una propria voce. E, da scrittore, devi stare molto attento non a inventare, ma a regolare il traffico
E se le metafore legate a ingorghi e urbanistica possono apparire curiose, se decontestualizzate, non stupisce invece che Diego De Silva parli di letteratura ricorrendo a termini come tono e ritmo, armonia e musicalità. La si potrebbe quasi chiamare una forma di deformazione professionale, vista la militanza in gioventù all’interno di una band.
Sull’esperienza, lo scrittore chiosa così: “Non si può suonare in un gruppo senza essere degli illusi. Ci sono alcune persone che poi realizzano l'illusione, ma la maggior parte invece abbandona, come è successo nel caso del mio gruppo. Ricordo però quel periodo con uno dei più felici della mia vita, perché è bellissimo avere un sogno da inseguire”.
Con la maturità, la passione per la musica non è diminuita, ma lo stesso non si può dire della disponibilità materiale di applicarvisi con costanza. “Compro chitarre perché non ho il tempo di suonarle”, afferma lo scrittore, non senza una mesta ironia.
La stessa che sfoggia quando proviamo a chiedergli cosa ne pensi della felicità come condizione legata al hic et nunc, un concetto sul quale De Silva preferisce mantenersi su una posizione di distaccato agnosticismo:
Quando sono felice e me ne accorgo sempre, se mi va bene, un momento dopo. Credo che la felicità sia più un'acquisizione successiva che contemporanea. Chi afferma di essere felice generalmente dice una stupidaggine o mente, magari perfino a sé stesso
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