Blue period di Tsubasa Yamaguchi: la recensione di La Scimmia Blu

Yataora è al secondo anno di liceo, ha l’aspetto di un teppistello ma in realtà non lo è e nonostante si diverta a fare serata fuori con gli amici ha ottimi voti a scuola. La sua esistenza sembra essere in perfetto equilibrio perché è convinto di aver trovato la ricetta ideale: dire e fare solo ciò che renda contenti gli altri così nessuno potrà lamentarsi di lui.
Studia seriamente per far contenta sua madre e intanto esce a divertirsi con gli amici per non diventare troppo noioso e far felice suo padre.

Ma nessuno sa i veri interessi di Yataora, nemmeno lui. Tutta questa impalcatura lo trasformerà in un funzionale ed esemplare membro della società giapponese ma allo stesso tempo in una persona vuota, arida, a cui non piace nulla.

La svolta arriva girando l’angolo (dell’aula).
Yataora infatti si ritrova di fronte il dipinto di una sua compagna di classe e scatta il colpo di fulmine.
Che senso ha fare arte? È un’attività inutile, al massimo un passatempo, ma di certo non promette grandi guadagni.
E allora perché alcune persone ci si dedicano anima e corpo? Di fronte a questi interrogativi, Yataora per la prima volta accantona i valori imposti dalla società e si scontra con qualcosa di nuovo, mai esplorato fino a quel momento: i suoi sentimenti.

Come gli dice la sua insegnante «l’arte è un linguaggio senza parole e per essere capaci si deve essere innanzitutto molto sinceri con sé stessi». Solo così si riuscirà a creare un’opera d’arte che riesca a trasmettere emozioni anche in chi la guardi.
Ma servono anche applicazione, dedizione ed esercizio ripetuto e continuo perché il vero talento non è innato ma si costruisce giorno dopo giorno.

Inizia così il viaggio di Yataora nel mondo dell’arte e alla scoperta di sé stesso per riuscire ad entrare in una prestigiosa università e diventare un giorno un grande artista.