Black box blues di Ambra Durante

Lo dico subito, così mi tolgo il pensiero: non sono un’appassionata di graphic novel, addirittura fino a poche settimane fa non ne avevo mai letta una. Forse sarei rimasta radicata nella mia ignoranza e nel mio pregiudizio per sempre, se non avessi incontrato Black box blues (pubblicato nel 2020 dall’editore tedesco Wallstein e uscito in Italia nel 2023 per Keller, nella traduzione di Roberta Gado).

Black Box Blues
Black Box Blues Di Ambra Durante;

A un certo punto della vita ci confrontiamo col buio. E da ragazzi questa nuova esperienza rischia di assumere dimensioni enormi. Questa cosa nera che invade tutto porta con sé domande, emozioni, paure... a cui anche gli adulti a volte non riescono a dare risposte.

Dell’esordio di Ambra Durante, nata a Genova ma residente a Berlino fin dall’infanzia, mi hanno attirata subito due cose: la prima è che l’autrice fosse autodidatta e avesse solo ventitré anni, la seconda è che il libro parlasse di depressione, uno dei temi più difficili da trattare senza scadere nella retorica. Ecco, a fine lettura se c’è una cosa di cui sono certa è questa: in Black box blues di retorica non c’è minima traccia. Ci sono al contrario una sensibilità, una delicatezza e una sincerità tale nello sguardo intimista dell’autrice, da riuscire a commuovere.

Come scrive l’editore tedesco in una nota alla fine del libro, “Black box blues non è un’analisi dall’esterno, ma un tentativo esistenziale di salvare sé stessa”. Dando voce ai pensieri martellanti di un’adolescente senza nome che soffre di depressione, Durante riesce in un’operazione tanto difficile quanto preziosa, quella di rendere universale un dolore personale, di cui molto spesso si prova vergogna e che proprio per questo si fatica a condividere con gli altri.

Non ho ancora ben capito perché fossi convinta di dovercela fare sempre da sola. Forse perché mi dicevo di continuo: l’unica persona che ti può salvare sei tu. Ho sempre pensato che se una non ce la fa da sola, ha fallito.

È vero, ogni tanto si riesce a parlarne con qualcuno, o come scrive Durante, a ripararsi sotto il suo ombrello, ma se la pioggia ti segue ovunque cammini, nessun ombrello può fermare il nubifragio. Sono le volte in cui la protagonista non riesce più a disegnare o ad ascoltare musica, non ha più la forza per le cose belle ed entra nel cosiddetto tunnel, quello che viene chiamato a torto bolla, perché nella bolla riesci ancora a vedere gli altri, nel tunnel ti dimentichi anche che esisti.

Nei disegni in bianco e nero dell’autrice, dalla linea elementare ma d’impatto proprio per la loro semplicità, questo malessere prende varie forme: è un omone scuro, una nube carica di pioggia, una scatola pesante legata al piede, una lampadina che quando si fulmina ti lascia al buio. E allora gli psicologi, quelli che “si intendono di luce”, non fanno altro che illuminare questo buio con delle torce, cioè le domande grazie alle quali la testa ricomincia a girare e la lampadina alla fine si riaccende da sola, le serviva solo una piccola spintarella.

Così, passo dopo passo, cadendo e rialzandosi, un giorno si trova finalmente il coraggio di chiudere “questa maledetta cosa” in una scatola e metterla nell’armadio. È sempre lì, non si è dissolta nel nulla, ma almeno si può decidere da soli che cosa farne, e magari passa così tanto che la si perde e non ce ne si accorge nemmeno. 

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