Habibi, ovvero “amore mio” in arabo. L’opera è una graphic novel di Craig Thompson, fumettista statunitense, conosciuto prevalentemente (e riduttivamente) per Blankets, altra graphic novel pubblicata nel 2003. Thompson inizia Habibi nel 2004 e viene pubblicato nel 2011 da Pantheon Books e in Italia da Rizzoli Lizard.
Un’opera complessa che segue le vite di Cam e Dodola in un immaginario paese islamico, collocato in un tempo metaforico dove coesistono tradizione islamica e industrializzazione, nella sua forma più smodata.
Habibi è una storia d’amore che testimonia come le storie d’amore possano diventare altre storie e altri amori quando inquinate dalla vita. Ma non solo. Ci racconta anche la bellezza della religione islamica, l’incanto dei racconti del Qur'an e l’eredità che l’Islam condivide con il Cristianesimo.
In un panorama epico fatto di deserti, harem e labirintici agglomerati urbani traboccanti di vita e di miseria, si dipana la storia di due anime schiave, portate l'una nelle braccia dell'altra.
Cam e Dodola sono i protagonisti di una trama difficile. Sono schiavi che fuggono dalla schiavitù per poi tornare a essere schiavi. Thompson non sconta niente ai suoi personaggi, condannandoli a una vita ritmata da continui soprusi e ingiustizie. Habibi è un’opera dura da digerire. I disegni espressivi, dalla linea morbida, arricchiti da cornici orientali, calligrafie arabe, citazioni a dipinti orientalisti del XIX secolo, ci accompagnano in un’atmosfera tenera, ma angosciante. Quando poi Thompson dà voce ai personaggi, utilizza un linguaggio diretto e dolce. Probabilmente è proprio questo a prendere la gola del lettore: vedere come, anche nei momenti più miserabili, possa sopravvivere la dolcezza.
Interessante notare una tendenza di Thompson verso i suoi personaggi: unirli, per poi separarli fisicamente - lo fa in Blankets, ma in modo più drastico in Habibi - e raccontare le conseguenze di questa separazione. In sostanza, si parla di come la distanza persista anche dopo il riavvicinamento fisico. Il corpo è un altro tema centrale nell’opera: quanto ci appartenga, quanto non ci appartenga, quanto ci controlli e ci renda schiavi e quanto controlli e renda schiavi gli altri.
Habibi non è un racconto cronologico: presente e passato si mescolano, scaraventando il lettore da una parte all’altra del tempo, costringendolo a continuare la lettura per capire cosa è successo nel mezzo. L’autore è in grado di creare un naturale intrecciarsi di trama e racconto religioso, creando parallelismi tra cosa succede ai protagonisti e quello che è il tradizionale racconto islamico. Le storie sono il terzo protagonista dell’opera, elemento decisivo nello speciale rapporto tra Cam e Dodola, che riesce a emozionare, rassicurare e rasserenare nonostante i continui torti della vita. Dodola dice di Cam:
Si calmava con le storie. Non capiva che le precipitazioni erano pioggia acida. Non capiva il rischio della nostra condizione. […] Quello che Zam capiva - per istinto, forse per superstizione - era il potere delle parole
Alcune recensioni dicono che Habibi è “troppo”: troppo pathos (sia grafico che narrativo); troppa tristezza; troppa ingiustizia. Si potrebbe dire che Habibi è, piuttosto, “tanto”. Non è un’opera leggera: è un’opera che induce riflessioni, che emoziona, che presenta un angolo di mondo metaforico, ma non poi così distante dalla realtà. Habibi riesce in quello in cui dovrebbero riuscire tutte le storie: ti si attacca addosso, una volta letto, non si fa dimenticare.
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