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Exodus di Nicoletta Bortolotti

Sono grossa, grassa e vecchia. Un piroscafo arrugginito che tossisce vapore. Un bastimento che un tempo portava i ricconi su e giù lungo il Potomac, il grande fiume che attraversa il Maryland. E adesso eccomi qui, una triste bagnarola ancorata in un cimitero di navi.

Exodus di Nicoletta Bortolotti, pubblicato da Einaudi, si apre così.
La voce è quella del piroscafo President Warfield a narrarci dal suo punto di vista ciò che 4515 superstiti, scampati ai campi di sterminio, hanno vissuto dopo che la Seconda Guerra Mondiale è finita. Finita forse per il mondo intero, per gli eserciti e per i potenti di molte nazioni, ma non per gli Ebrei che si trovarono senza casa e famiglia, con le esistenze totalmente sventrate e costretti per due lunghi anni a vivere nei campi di concentramento o a nascondersi tra i boschi cercando di sopravvivere alla fame e al freddo.

Exodus
Exodus Di Nicoletta Bortolotti;

L’11 luglio 1947 Ariel e Daniel, orfani sopravvissuti ai campi di sterminio, s’imbarcano con Ben, la madre incinta e Milly, un’anziana insegnante con un cane ma senza cognome, insieme a oltre 4500 profughi ebrei, senza più casa, famiglia e lacrime. L’Exodus è un vecchio piroscafo capitanato da Yossi Hamburger «Harel» ed è diretto verso la Terra Promessa. Ma a poche miglia dalla costa la nave viene attaccata in un piratesco arrembaggio proprio da coloro che hanno combattuto i nazisti: gli inglesi. Sarà la fine di ogni speranza?

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Gente senza più casa e senza più un posto dove vivere. Gente che non sapeva se il posto più bello dove vivere fosse davvero la vita. Dico più perché un tempo ce l’avevano una casa e un posto. E una vita.

È davvero difficile dal calduccio di casa nostra, con lo stomaco sempre pieno, immedesimarci nello stato d’animo di tutta quella gente. Forse è da questo che nasce l’esigenza per l’autrice di far raccontare la storia a un piroscafo, piuttosto che al capitano Yossi Hamburger o a un qualsiasi superstite, per farci salire a bordo e riportarci in quel 1947, stipandoci insieme a 4515 ebrei con il cibo razionato, a morire di caldo e con la speranza nel cuore di arrivare alla Terra Promessa: la Palestina.

Sulla vecchia nave seguiremo le vite di Daniel, Ariel, la vecchia e matta Milly, Ben e la sua mamma. Ognuno di loro porta con sé qualcosa di molto caro, unico legame con la vita passata: un pacco di lettere per Milly, un caleidoscopio per il piccolo Ben, un bimbo nella pancia per la mamma di Ben e un orologio a cipolla per Ariel.

Daniel è l’unico a non avere alcun oggetto che lo leghi al passato, tranne il ricordo di un’ascia costruita per sopravvivere errando tra boschi e campi nei due anni precedenti, ma un incidente di percorso gli farà trovare l’orologio di Ariel e invece di restituirlo lo terrà con sé.

Oggetti che talvolta sono stati vie di fuga dalla realtà dei ghetti e a cui adesso tutti loro si aggrappano nella speranza di poter ricominciare una vita nuova, in un posto nuovo.

Quel posto si chiama Palestina e il capitano Yossi farà di tutto per riuscire nell’impresa, ma gli inglesi, che all’epoca tenevano sotto il loro controllo il Paese, non avevano alcun interesse a ricevere tutti quei profughi, motivo per cui cercheranno di impedire sia la partenza dal porto di Sète che l’arrivo in Palestina, fino ad aprire addirittura il fuoco.

Un miraggio di sabbia, tetti e ulivi, proprio come lo aveva descritto Yossi, srotolato a poca distanza e insieme inafferrabile. Irraggiungibile. E io mi chiedo che cosa sia davvero il mare, questo niente fra due terre. Unisce o divide? È limite o libertà? E’ un invito a raggiungere una sponda o un divieto a proseguire?

Con una prosa ricca e poetica che scuote i cuori, Nicoletta Bortolotti riporta sotto i nostri occhi la famosa traversata della nave Exodus che ha trasportato 4515 vite cariche di speranza per raggiungere la terra d’Israele. Vite a cui è stato tolto tutto. Perfino la speranza.

Leggere Exodus è quindi un atto dovuto, per avere maggior consapevolezza degli effetti che possono avere le nostre azioni. Ché la sopraffazione di un popolo su un altro può avere conseguenze catastrofiche per chi riesce a sopravvivere e che, anche se arriva alla Terra Promessa, quelle ferite rimarranno aperte per tutta la vita.

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Conosci l'autrice

Nasce in Svizzera, ma vive in Italia. Laureata in Pedagogia, da molti anni redattrice Mondadori, autrice per ragazzi e per adulti, pubblica per le maggiori case editrici e collabora con il supplemento culturale de “La Provincia di Como” e con le riviste letterarie “Letteratitudine” e “Clandestino”. Ha pubblicato per Sperling & Kupfer Il filo di Cloe ed E qualcosa rimane, ora ripubblicato con Besa Editrice (premio Carver e premio Leonforte); per Mondadori Sulle onde della libertà (finalista al premio Bancarellino); per Einaudi ragazzi In piedi nella neve (premio Gigante delle Langhe e premio Cento), Oskar Schindler Il Giusto e La bugia che salvò il mondo. Per Harper & Collins Chiamami sottovoce (premio Alvaro Bigiaretti e premio Giuditta), grazie al quale è stato realizzato un documentario per Rai3 sui bambini nascosti. Per Giunti ha pubblicato Disegnavo pappagalli verdi alla fermata del metro, storia vera di Ahmed Malis. Per Mondadori Contemporanea il romanzo per ragazzi Quelle in cielo non erano stelle e per Gribaudo l’illustrato Il cielo degli animali.

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