Il potere della scuola è portare tra i banchi ciò che accade, spiegare ai bambini quanto sia importante sapere, capire il tempo che viviamo per non contribuire a infliggere, nel presente, errori simili a quelli del passato: conoscere per non ripetere le inspiegabili scelte degli uomini prima di noi.
Per questo è fondamentale che tutti, anche i più piccoli, siano coscienti di una tale cattiveria umana, perché solo così – attraverso le parole di chi è stato deportato, attraverso quello che la storia ci lascia in eredità – nessuno possa essere indifferente, o peggio ancora, inconsapevole.
Un percorso storico e letterario sulla Shoah, in un video curato dai bambini delle classi quinte, con la supervisione delle loro insegnanti:
Sei stata molto coraggiosa, sei una grande donna per quello che hai fatto ed hai un cuore immenso
Lo scrive Anna, dentro una stella disegnata, come quelle cucite sulle divise dei campi di concentramento. Dedica questo pensiero a Liliana Segre. Ogni bambino ha ascoltato la sua storia e ha scritto, dietro a una stella, una frase per lei. L’hanno chiusa e custodita.
E poi in classe si dà spazio alla poesia di František Bass, un bambino di undici anni, deportato nel ghetto di Terezín e infine ad Auschwitz. Si firmava come Franta sul giornale Vedem, un settimanale curato interamente da bambini e ragazzi. Durante la sua prigionia morì, ma è riuscito a far arrivare fino a noi questi versi:
È piccolo il giardino
profumato di rose,
è stretto il sentiero
dove corre il bambino.
Un bambino grazioso
come un bocciolo che si apre:
quando il bocciolo si aprirà
il bambino non ci sarà
Un bambino poco più grande di loro che vive cose molto più grandi di lui, senza avere nessuna colpa.
Ognuno di noi non deve permettere a un altro di fare violenza e cattiverie a persone diverse per cultura e modo di essere
E tutti prendono in mano fogli, penne e colori e cercano di dare la loro interpretazione di quello che, in questi racconti scioccanti e dolenti, è riverberato in loro.
C’è una grande X sulla parola indifferenza, qualcuno disegna un braccio e ci mette un numero sopra, qualcuno invece scrive, come è stato spiegato loro, «cattiveria era tatuare un numero sul braccio degli ebrei perché così perdevano la loro identità».
E tutti sono intenti e concentrati, con la leggerezza che l’infanzia dà – quella che intendeva Calvino, che non è superficialità ma planare sulle cose. Con i sorrisi amari che comunque spuntano anche quando le storie che ci vengono raccontate sono più grandi di noi. E le rendiamo nostre. Come hanno fatto i bambini delle classi quinte di Castellammare, nella piccola conoscenza di un dolore gigante, che a qualcuno addirittura fa piangere – immaginarsi lì, bambini, lontani da mamma e papà, segnati in modo indelebile, con un destino nerissimo ad attenderli.
Pensare a Liliana Segre, una bambina che ha cominciato a non essere più accettata a scuola, per passare a Frante, che comunque ha usato fino all’ultimo le sue parole. Bambini come loro, strappati dalla quotidianità, provare sempre a far capire l’incomprensibile, la fortuna che si ha nel non riuscire neanche a immaginare.
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