Raccontata attraverso gli occhi di una donna che vive un secolo di sconvolgimenti con passione, determinazione e senso dell'umorismo, Isabel Allende ci consegna ancora una volta una storia epica che esalta ed emoziona.
“Io ho bisogno di confrontarmi con gli autori che traduco, un po’ per natura, dato che sono insicura, schiva e un po’ timida… e quindi ho bisogno di essere confortata, di sapere che sto andando nella direzione giusta, che sto rendendo il servizio migliore a quel libro”
In occasione del compleanno di Isabel Allende, riproponiamo ai lettori di Maremosso l'intervista realizzata con la traduttrice Elena Liverani in occasione della pubblicazione di Violeta.
Tradurre – è stato scritto – equivale a tradire.
Può darsi sia vero, ma di certo è altrettanto vero che un’amicizia non si tradisce, e quella che da più di vent’anni lega Isabel Allende – autrice amatissima in tutto il mondo – a Elena Liverani, sua fidata traduttrice italiana, è un’amicizia vera, forte, invincibile.
Alla vigilia dell’uscita in libreria di Violeta, il nuovo, attesissimo romanzo di Isabel Allende, abbiamo voluto incontrare Elena, che con il suo lavoro maieutico, prezioso e sensibile ha ancora una volta compiuto il miracolo: far vivere in un’altra lingua (e quindi far nascere di nuovo) una storia meravigliosa, attraverso una tradizione capace di restituire l’intenzione e il carattere più giusti per la prosa di Isabel.
Nel corso di questa intervista, tutta da gustare, avremo occasione di approfondire alcune delle complessità con le quali deve misurarsi ogni traduttore nel corso del suo lavoro sul testo, ma scopriremo anche quale inestimabile valore aggiunto possano rappresentare la conoscenza e la frequentazione reciproca di chi inventa le storie e le mette su carta nella propria lingua e chi invece quelle stesse storie è chiamato a mettere a disposizione dei lettori di altri paesi del mondo. Un mestiere bellissimo, difficile ed essenziale, quello del traduttore.
Un mestiere che Elena Liverani interpreta con grande cura e altrettanto grande passione.
Qualità che la stessa Isabel Allende ha riconosciuto in lei sin dal principio della loro ventennale collaborazione, cominciata con Afrodita, nel 1998, ed arrivata fino ad oggi, con Violeta.
… e dunque ecco “Violeta”, il nuovo capitolo di una collaborazione fertilissima che va avanti da tanto tempo. Cosa possiamo dire di questo libro?
Beh, non tantissimo, perché non vogliamo “spoilerare” niente, ma sicuramente è un libro che rientra nella cifra più conosciuta della narrativa di Isabel. Un libro in cui ancora una volta la protagonista è una donna resistente, che lotta per la sua indipendenza, una donna avanti rispetto ai suoi tempi. La particolarità di questo libro, che comprende un arco di 100 anni, perché inizia con una pandemia - la spagnola - e si conclude ai giorni nostri, è che capiamo che tutta la narrazione ha luogo in Cile, ma questo non viene mai nominato espressamente: quindi non viene mai nominato Allende, non viene mai nominato Pinochet… è come se Isabel volesse farci vedere che certe dinamiche potrebbero svolgersi in tanti luoghi. E secondo me la cosa più bella di questo libro è che per la prima volta la protagonista non è collocata dalla parte giusta, politicamente. È una donna conservatrice, molto benestante, che quindi si lascia un po’ scivolare sulla pelle gli avvenimenti. All'inizio non sembra avere precisa contezza dei drammi che si stanno svolgendo e arriva a capire le cose quando - ma non anticipo niente - gli eventi iniziano a toccarla personalmente.
Isabel Allende è una scrittrice amatissima dal pubblico, si sa. Quando ti accingi a tradurre un suo nuovo libro, senti una pressione derivante da questa consapevolezza?
Assolutamente sì e - devo dire - sempre di più, perché più si traduce (ma un po’ anche per una questione d'età), più si perde quella spavalderia, quel coraggio che hai quando sei più giovane, magari… è come se si diventasse sempre più consapevoli, appunto, della grande responsabilità che si ha, del grande privilegio che si ha. Nel mio caso, poi, il fatto di insegnare traduzione, negli ultimi anni ha acuito proprio la sensazione che la traduzione sia un processo di creazione potenzialmente infinito e che sia soprattutto un esercizio ermeneutico in cui bisogna sempre continuare a interrogarsi sul testo, sulle pieghe, sul ritmo, su quello che si deve riprodurre, rendere in lingua italiana.
In che modo può incidere sulla qualità della traduzione la conoscenza personale, com’è il tuo caso con Isabel Allende, dell'autore che si traduce?
Per me incide tantissimo!
Esistono molte scuole di pensiero a riguardo: c'è chi dice che non è importante frequentare l'autore che si traduce, che rischia di essere una sorta di patente di legittimità che ci si concede da soli, l'esibizione di un rapporto personale… per me non è così: io ho bisogno di confrontarmi con gli autori che traduco, un po’ per natura, dato che sono piuttosto insicura e schiva, un po’ timida… e quindi ho bisogno di essere confortata, di sapere che sto andando nella direzione giusta, che sto rendendo il servizio migliore a quel libro… ed è una cosa che, peraltro, consiglio a tutti di fare, perché gli autori in realtà sono molto sospettosi nei confronti dei traduttori che non si rivolgono mai a loro. Si interrogano rispetto al proprio libro: “com'è possibile che abbia capito tutto? che non abbia avuto neanche un dubbio?”.
Quindi, secondo me, fa bene al traduttore, fa bene all'autore, fa bene al libro.
Senti, per chiudere questa nostra conversazione - della quale naturalmente ti ringraziamo - vorremmo chiederti un consiglio per i giovani che vogliono intraprendere la bellissima e difficile strada della traduzione.
Leggere. Leggere tanto. Leggere le cose più diverse, cioè esporsi a qualsiasi tipo di testo: da quello pubblicitario a un libro. Questo aiuta ad affinare la propria sensibilità linguistica e aiuta a capire che cosa si traduce volentieri. E poi consiglio di provare a scrivere, quando si legge un bel libro; provare a scrivere e a lasciare traccia di quell’esperienza, come se si dovesse fare una scheda di lettura, prendere appunti quando si legge. Io questo l'ho sempre fatto: ogni parola strana che mi colpiva la sottolineavo, avevo un librettino in cui segnavo tutto quello che aveva richiamato la mia attenzione. È un lavoro che bisogna fare con la lingua italiana, perché comunque un traduttore deve soprattutto deve avere una grande confidenza con la lingua in cui scriverà. Bisogna affinare affinare gli strumenti, insomma.
Una grande traduttrice, Elena Liverani, che grazie alla sua dedizione e alla passione è diventata col tempo un tassello fondamentale del patto che Isabel Allende ha stretto coi suoi numerosissimi lettori italiani. Già, il nostro è un paese che - sin da subito - ha saputo cogliere appieno le tante qualità di una narratrice naturale qual è Isabel, con le sue storie di donne indomite, che di fronte alle sfide cui il destino le mette davanti sanno rispondere con carattere. Se quel patto fra scrittrice e lettori è ancora oggi tanto saldo e potente, lo dobbiamo anche a questa splendida traduttrice.
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