Sapore di sala

I 90 anni di Tinto Brass: da regista sovversivo a maestro dell’eros

Illustrazione di Francesco Ruggero Vercesi, 2023, diplomato al Liceo artistico A. Volta di Pavia

Illustrazione di Francesco Ruggero Vercesi, 2023, diplomato al Liceo artistico A. Volta di Pavia

Quando l’editore Tullio Pironti chiese a Tinto Brass di scrivere il suo Elogio del culo, lui accettò subito entusiasta. Ma a una condizione: all’interno del libretto doveva essere inserita una decina di foto. «Pironti, ho dei culi stupendi! Non possiamo non metterli!».

Sin dall’infanzia, d’altronde, la formazione di Tinto Brass è stata sempre improntata all’immagine: una passione che gli viene trasmessa dal nonno pittore e da Venezia, la sua città, tripudio di colori e visioni.

Oggi, nonostante la salute un po’ malconcia, Tinto Brass (nato Giovanni il 26 marzo 1933, il nome d’arte è un omaggio al pittore veneziano Tintoretto) è ancora uno splendido novantenne. E se tutti lo identificano come il maestro dell’eros, resta meno nota la prima parte, stravagante e sperimentale, della sua carriera.

Dopo essersi laureato in giurisprudenza per volere dei genitori, coi quali ha un rapporto difficile (il padre cerca anche di farlo rinchiudere in manicomio), Brass tenta la carta artistica e si trasferisce a Parigi dove lavora alla Cinémathèque Francaise. Lì conosce Truffaut, Godard e gli altri “giovani turchi” della Nouvelle Vague, e quando torna in Italia si butta nella regia, prima come assistente per Roberto Rossellini, poi in proprio.

Nel 1963, anno apicale per il cinema italiano (l’anno di 8 ½ e Il Gattopardo), Tinto firma un esordio straniante e ancora decisamente attuale fin dal titolo: Chi lavora è perduto, un flusso di coscienza tra le calli e i canali di Venezia, dove il giovane protagonista vaga indeciso se accettare o no un lavoro da disegnatore in un’industria. L’influenza del nuovo cinema francese nello stile è evidente, ma Brass mette nel film anche tutto sé stesso, il suo animo creativo e libertario. Per la prima (e non ultima) volta fa i conti con la censura, non per scene di nudo, bensì per certo umorismo ritenuto troppo ‘anarchico’. Il film esce comunque senza tagli e il suo talento si fa notare, tanto che subito dopo dirige Alberto Sordi nel film a episodi La mia signora e nella satira di fantascienza Il disco volante, in cui Monica Vitti recita nel suo primo ruolo comico.

Allo spaghetti-western Yankee seguono alcuni film dall’atmosfera più inquieta e sensuale nella Swinging London anni ’60, tra cui Col cuore in gola, con protagonista Jean-Louis Trintignant, e Nerosubianco che nella locandina diventa nEROSubianco. Ha quasi l’occasione di girare Arancia meccanica ma il progetto finisce nelle mani di Kubrick, perché Brass prende tempo per realizzare L’urlo, storia di una fuga amorosa contro le convenzioni borghesi, con un istrionico Gigi Proietti.

Dalla seconda metà dei settanta, il sesso diventa tema centrale nella sua filmografia, intrecciandosi col potere sia nella casa d’appuntamenti della Berlino nazista di Salon Kitty, dai chiari riferimenti viscontiani, sia nell’Antica Roma di Caligola. Ma la svolta definitiva verso il cinema erotico è La chiave, con cui Brass torna a Venezia e sveste Stefania Sandrelli, ottenendo il maggior incasso italiano della stagione 1983-84.

Il sentiero per la seconda metà di carriera è tracciato, con ripetizioni via via più stanche e sfilacciate (Miranda, Così fan tutte, Monella, Senso ’45). E proprio mentre l’erotismo diventava un genere a sé, sempre più circoscritto e commerciale, il cinema italiano che ai tempi de La dolce vita sapeva essere il più erotico al mondo, smetteva progressivamente di esserlo.

L’ultimo film di Tinto Brass uscito nelle sale italiane risale al 2003, prima di YouTube, prima dei social, prima che la pornografia online dilagasse, e il suo titolo suona oggi quasi come un appello, ora che il desiderio sessuale, secondo gli studi, è sempre più in calo: Fallo!

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