Arriva in libreria The Passenger Milano. Cristina Gerosa, direttrice editoriale di Iperborea, racconta la nascita di un progetto editoriale diventato oggetto di culto
Da sempre Iperborea invita lettrici e lettori a esplorare territori lontani e sconosciuti, e anche a scovare l’esotico a casa nostra, come scopriranno i milanesi con il numero dedicato alla capitale meneghina.
Maremosso: The Passenger, progetto editoriale a metà fra il libro e la rivista, arriva in libreria nel 2018. Il primo numero dedicato è all’Islanda e riscuote un immediato successo. Vorrei però fare un piccolo passo indietro e parlare del contesto in cui Passenger vede la luce: Iperborea. La casa editrice, fondata nel 1987 da Emilia Lodigiani è caratterizzata da alcuni elementi molto identitari. Che mondo è quello di Iperborea?
Cristina Gerosa: Negli anni precedenti alla nascita della casa editrice, Emilia Lodigiani aveva vissuto a Parigi, lavorando come giornalista. In quel periodo aveva coltivato una passione nata all’università, quella per le letterature del Nord. Tornata in Italia, si accorge che gli autori scandinavi contemporanei che era abituata a vedere sugli scaffali delle librerie francesi, non erano affatto rappresentati nel mercato italiano. E così, incoraggiata anche dal fratello Paolo, viaggiatore appassionato, decide di fondare una casa editrice con questa specifica vocazione geografica.
Iperborea è inizialmente un progetto molto artigianale, la sede è in casa di Emilia, che lavora da sola con una persona part-time e una produzione di appena cinque o sei libri all’anno. Quando si presenta alla sua prima fiera di Francoforte, però, trova tantissimi interlocutori entusiasti di ritornare nelle librerie italiane – da cui la letteratura scandinava mancava dalla fine degli anni ’50 – e capisce fino a che punto la sua intuizione sia vincente. Tanto più che sono anni particolarmente fertili per quelle letterature: Iperborea porta in Italia tutta la straordinaria generazione di grandi autori del Nord, come Per Olov Enquist, Lars Gustafsson o Göran Tunström.
Come dicevo, inizialmente era un progetto di piccole dimensioni, ma con la pubblicazione de L’Anno della Lepre di Arto Paasilinna e de La Vera Storia del Pirata Long John Silver di Bjorn Larsson – due titoli particolari e anche un po’ diversi da quello che Iperborea aveva pubblicato fin a quel momento – la casa editrice compie un vero salto, raggiungendo una fascia molto più ampia di lettori. Questi due libri e i rispettivi autori non hanno mai smesso di vendere, sono diventati dei veri e propri pilastri a sostegno del nostro catalogo.
MM: Nel 2008 Pietro Biancardi, figlio di Emilia Lodigiani che fino ad allora aveva lavorato per Il Saggiatore, decide di entrare in Iperborea, che in breve tempo aumenta la produzione e si apre anche ad altri territori di riferimento.
CG: Sì, e a partire da quel momento la produzione cresce, passando dai nove-dieci titoli all’anno ai sedici-diciassette titoli che facciamo oggi nella collana di narrativa principale, e a cui si sono via via aggiunte altre iniziative, come i miniborei, la collana di libri per bambini, e più recentemente The Passenger e Cose Spiegate Bene. Dal punta di vista geografico, dalle letterature di Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia ci siamo allargati anche verso l’Islanda, la letteratura fiamminga, i paesi del Baltico e il Canada. C’è da dire che oggi il contesto è anche molto cambiato, sono tanti gli editori italiani che frequentano questi mercati – in particolare dopo la grande ondata del giallo scandinavo – ed è diventato tutto più veloce e più competitivo. Resta il fatto che anche se gli scandinavi sono pubblicati un po’ da tutti, per Iperborea è fin dall’inizio un tratto distintivo.
MM: Si è portati a immaginare che in casa editrice tutti conosciate perfettamente lo svedese, il finlandese, l’islandese eccetera… ma ovviamente non è così, come del resto non succede da nessun editore! E, tuttavia, con una vocazione così specifica è sicuramente necessario un equipaggio di un certo tipo. Come si organizza il lavoro editoriale intorno a lingue e culture di provenienza così particolare?
CG: Emilia Lodigiani ha una buona comprensione dello svedese e del norvegese-danese. In casa editrice abbiamo seguito alcuni corsi di svedese ma resta una conoscenza superficiale. In redazione abbiamo Silvia Piraccini che conosce lo svedese e l’olandese e Cristina Marasti, germanista, è molto aiutata dalla sua conoscenza del tedesco. Sarebbe comunque impossibile padroneggiarle tutte. Quello che abbiamo è una fitta ed efficientissima rete di collaboratori, traduttori e “suggeritori” italiani e stranieri con una conoscenza molto approfondita di determinate culture e letterature. Anche da questo punto di vista, tra l’altro, la situazione è molto cambiata rispetto ai primi anni, quando le cattedre nelle università erano pochissime e al grande Nord non si interessava quasi nessuno! Infatti molti traduttori sono letteralmente cresciuti insieme a noi. Penso a Maria Valeria D’Avino, Silvia Cosimini, Fulvio Ferrari, Laura Cangemi, solo per dirne alcuni.
MM: E dal punto di vista della mentalità e della cultura aziendale? Siete tutti un po’ boreali?
CG: Sì, secondo me da noi si respira un clima diverso e un po’ speciale. Da un lato è l’impronta data da Emilia Lodigiani, dall’altro abbiamo sicuramente assorbito molti elementi dalle culture con cui ci interfacciamo. Siamo molto attenti alla parità di genere – Iperborea è una casa editrice femminista anche se non pubblica letteratura femminista – e alla sostenibilità ambientale (abbiamo vinto quest’anno il Premio Impresa Sostenibile organizzato da Il Sole 24 Ore) sia attraverso i temi affrontati nel nostro catalogo sia attraverso le buone pratiche a livello individuale dei dipendenti.
Ci stanno a cuore la libertà, una certa idea di società civile, il sostegno alla maternità, che si traduce anche nella flessibilità a livello di organizzazione. Sono tutte buone pratiche, appunto, che abbiamo importato dai nostri interlocutori nordici, anche se devo confessare che la strada da fare resta ancora tanta: ogni volta che vado in Scandinavia resto stupita dalla naturalezza con cui questi valori fondamentali sono stati integrati nelle aziende e nella società in generale.
MM: Parlavamo prima delle letterature del Nord come tratto distintivo di Iperborea. Un altro elemento molto riconoscibile della casa editrice è il formato stretto e lungo, assolutamente unico. Come è nato?
CG: Gli spunti di ispirazione per il formato erano più d’uno. C’era innanzitutto la volontà di rendere i nostri libri molto facilmente riconoscibili e identificabili, proprio perché inizialmente i nomi degli autori erano sconosciuti e un po’ esotici. Oggi ci sono moltissimi nomi famosi e abbiamo acquisito molta familiarità con le sonorità del Nord, anche grazie all’Ikea che ci ha insegnato a pronunciare le parole più strane… ma ai tempi non era così. Un'altra fonte d’ispirazione per il formato era il mattone – l’oggetto più maneggevole inventato dall’uomo – con cui costruire la personalità dei lettori. E c’era anche il richiamo alle guide turistiche, che suggeriva l’invito a esplorare territori sconosciuti.
MM: Mi sembra evidente che la cultura del viaggio sia una costante del progetto editoriale fin dalla prima ora. Con il senno di poi, la nascita di The Passenger può essere vista come una naturale evoluzione del catalogo che aspettava solo di venire alla luce?
CG: È vero che il tema del viaggio attraversa tutto il nostro catalogo. Ci sono i grandi viaggiatori come Cees Nooteboom, di cui abbiamo pubblicato quasi tutte le opere, il filone delle grandi esplorazioni come quella raccontata da Thorkild Hansen in Arabia Felix, ma anche le spedizioni artiche o la tradizione olandese del viaggio che troviamo in Morten Strøsknes, Jan Brokken o Frank Westerman. Sono moltissimi i nostri autori collocabili a metà strada fra la narrativa e il reportage, e questo ha indubbiamente prodotto un humus fertile per la nascita di The Passenger.
MM: Ci racconti la gestazione e la nascita di questo progetto?
CG: Come spesso accade è stato l’incontro di più elementi. Con Pietro Biancardi avevamo iniziato a guardare con curiosità a una serie di riviste indie del panorama internazionale, in particolare francesi (Revue XXI e Feuilleton) e inglesi (Delayed Gratification). Questi mook – pubblicazioni a metà strada fra il libro e il magazine – ci sembravano molto interessanti dal punto di vista creativo e in termini di vendite e lettori. Nello stesso periodo alcuni nostri autori avevano iniziato a proporci testi long-form (articoli lunghi con approfondimento dei contenuti, ndr) che ci piacevano molto, ma che non avremmo potuto collocare nella nostra produzione abituale.
Infine, da viaggiatori appassionati alla costante ricerca di spunti, ci siamo resi conto che in libreria si trovavano – oltre alle guide, naturalmente – libri di storia oppure romanzi, ma non c’erano pubblicazioni sul contemporaneo di un paese. Avvertivamo, insomma, la mancanza di testi sui temi, sulle fratture, sul pensiero politico che attraversa un determinato luogo in questo momento storico. Così ha preso forma questo progetto, lontano dal turismo e dall’attualità e focalizzato su una contemporaneità raccontata da scrittrici e scrittori. Noi eravamo molto convinti dell’idea fin da subito, anche se, quando l’abbiamo presentata, alcuni fra i nostri primi interlocutori sono rimasti sconcertati. La straordinaria risposta dei lettori ci ha dato ragione.
MM: The Passenger è distribuito anche all’estero, tradotto in inglese grazie alla partnership con Europa Editions, in spagnolo, tramite GeoPlaneta, e in portoghese, tramite Âyiné Editora. Era previsto fin da subito?
CG: Sì, secondo i nostri piani al lancio italiano nel 2018 doveva seguire quello americano e inglese nel 2020…ma la pandemia ha complicato un po’ le cose e allungato i tempi. Un’altra conseguenza imprevista del Covid è stata l’introduzione di destinazioni italiane, inizialmente escluse dal piano editoriale. Quando tutto si è fermato e andare in giro per il mondo è diventato impossibile, concentrarci sull’Italia è diventata una scelta obbligata, che tuttavia ci ha premiati: il primo numero su Roma ha avuto un successo incredibile. Così abbiamo deciso di dedicare ogni anno uno dei quattro numeri all’Italia. E nel 2022 tocca a Milano.
MM: Come organizzate il lavoro?
CG: La redazione di The Passenger è composta dai due editor Tommaso Biancardi e Marco Agosta e dalla redattrice Beatrice Martelli. Si parte sempre con delle riunioni iniziali a cui partecipiamo anche io e Pietro, per condividere idee e contatti. Da lì in avanti, anche a seconda delle nostre passioni e inclinazioni, iniziamo a esplorare in parallelo i temi da trattare e gli autori da coinvolgere. Qualche volta lavoriamo con un consulente, che in virtù della sua conoscenza approfondita di un luogo o di una specifica letteratura ci aiuta ad attivare contatti e ad individuare alcuni temi. La composizione di un numero è un lavoro complesso a cui si aggiungono le traduzioni e tutto il lavoro redazionale. L’aspetto iconografico è affidato all’agenzia Prospekt, che produce il progetto fotografico esclusivo e cura il photo editing, mentre l’art direction è dello studio milanese TomoTomo.
MM: E i prossimi numeri?
CG: Dopo Milano ci saranno i Paesi Baltici, il Messico, il Mediterraneo, Palestina e infine Venezia, come strenna 2023. Questo è il piano editoriale, poi il lavoro concreto su un numero inizia con circa nove o dieci mesi di anticipo.
MM: Ci racconti più nel dettaglio la nascita di The Passenger Milano? Nell’ideare i contenuti siete riusciti a inserire tutto quello che volevate o ci sono temi a cui avete dovuto rinunciare?
CG: Ci sono sempre, purtroppo, temi a cui siamo costretti a rinunciare! Sul numero di Milano ci sarebbe piaciuto avere il punto di vista di uno straniero, un expat, ma non siamo riusciti a intercettare l’autore giusto. Certo, a Milano giocavamo in casa e su alcuni punti avevamo fin dall’inizio le idee molto chiare, ma devo dire che quando abbiamo letto i testi che ci sono arrivati abbiamo scoperto e imparato tantissime cose nuove. In generale l’ideazione di The Passenger è sempre un lavoro bello, stimolante e gratificante. Tra l’altro è una pubblicazione pensata per rimanere a lungo in libreria – noi immaginiamo una vita di cinque anni circa – e questo significa stare particolarmente attenti a editare testi che non “invecchino” troppo in fretta.
MM: The Passenger Milano sarà presentato a Bookcity Milano venerdì 18 novembre alle 18:30 alla Società Umanitaria, insieme a Malika Ayane, Paolo Cognetti, Michele Masneri, Lucia Tozzi e Nadeesha Uyangoda, moderati da Natascha Lusenti. Negli stessi giorni è previsto l’incontro con Jón Kalman Stefánsson (giovedì 17 novembre alle 19, al Castello Sforzesco, Sala Weil Weiss)
per parlare di La tua assenza è tenebra, il suo ultimo romanzo (che in Francia ha superato le sessantamila copie!) mentre sabato 19 novembre (alle 15, al Mudec) si presenta il quarto numero di Cose spiegate bene. Quest’ultimo è un altro vostro recente progetto decisamente innovativo. Come è nata la collaborazione con Il Post?
CG: Dopo l’uscita di The Passenger siamo stati contattati da Luca Sofri che ha condiviso con noi questa proposta. Si tratta di una joint venture a tutti gli effetti. Luca è un lettore di The Passenger ed è venuto naturale fare un mook con i contenuti de Il Post. Anche in questo caso la risposta dei lettori è stata straordinaria! Il concetto stesso di Cose spiegate bene è d’altra parte un marchio di fabbrica del Post. Dopo i numeri dedicati ai Libri, alle Questioni di genere e alle Droghe, è uscita l’edizione dedicata alla Giustizia, mentre il prossimo sarà sulla Geografia.
MM: Parliamo un po’ di te. Hai sempre desiderato lavorare nell’editoria o il tuo sogno era un altro?
CG: Ho sempre saputo che volevo lavorare vicino ai libri. Dopo il liceo, ero indecisa fra architettura e letteratura e alla fine ho scelto di studiare lingue. Di formazione sono un’ispanista, e inizialmente pensavo di intraprendere la carriera accademica. Per un periodo ho vissuto in Messico con una borsa per un master in letteratura centroamericana, ma poi, durante quella che pensavo fosse una piccola parentesi italiana, ho conosciuto Giacomo Papi e Massimo Coppola che stavano fondando ISBN. Mi hanno proposto di fare uno stage da loro. Ho accettato convinta che sarebbe stata un’esperienza breve, e invece, una volta iniziato il lavoro sui libri non ho più voluto smettere. Sono rimasta con ISBN e Il Saggiatore per qualche anno, in seguito ho lavorato per un periodo a un progetto editoriale legato all’ONU, continuando nel frattempo a leggere per conto di BUR e di Rizzoli. A Il Saggiatore avevo conosciuto Pietro Biancardi che nel 2009 è entrato in Iperborea e mi ha chiamata a lavorare con lui. Tra l’altro anche Cristina Marasti e Marco Agosta facevano parte dello stesso gruppo di colleghi. Ci siamo tutti conosciuti nel periodo dei nostri vent’anni, nell’orbita de Il Saggiatore.
MM: Quali sono stati i libri che ti hanno fatto innamorare della lettura?
CG: Da bambina, i libri di Astrid Lindgren e le Fiabe italiane di Calvino. In seguito, da adolescente, Le piccole Virtù di Natalia Ginzburg, la letteratura ispanoamericana con Borges e Cortázar e infine Tiziano Terzani, lettura fondamentale e fondativa che ha fatto di me una viaggiatrice appassionata.
MM: Quali sono le novità Iperborea che troveremo in libreria da qui a Natale?
CG: Oltre ai già citati, abbiamo pubblicato da poco Essere Lupo di Kerstin Ekman, storia della conversione ecologista di un ex cacciatore, e la raccolta di poesie Breve è la vita di tutto quel che arde di Stieg Dagermann, grande classico della letteratura svedese. Stanno uscendo anche due miniborei, Tutti i cari animaletti di Eva Eriksson e Ulf Nilsson e La danza del topino della foresta di Pirkko-Liisa Surojegin. Infine, il 16 novembre sarà in libreria Intorno al fuoco. Fiabe e storie della terra dei sami, che come tutte le nostre raccolte di fiabe indaga l’universo etnologico e folkloristico, la visione e la cosmogonia di una cultura, in questo caso delle popolazioni sami, quindi dell’attuale Lapponia.
MM: E le letture recenti?
CG: Ultimamente mi sono molto appassionata alla saggistica narrativa. Un bellissimo esempio è il libro di Lea Ypi, Libera. Diventare grandi alla fine della storia (Feltrinelli), da cui ho imparato tantissimo. Un’altra lettura straordinaria è stata Il futuro è storia di Masha Gessen, pubblicato da Sellerio nel 2019, ma che io ho letto solo di recente. Masha Gessen è una giornalist* russ*, persona non binaria, attivista. Questa sua opera strepitosa ci fa capire moltissime cose anche sulla guerra in atto fra Russia e Ucraina. Infine segnalo Orsi danzanti. Storie di nostalgici della vita sotto il comunismo di Witold Szablowski, pubblicato da Keller a inizio 2022. Un bellissimo reportage che mi ha consigliato Marco Agosta – il nostro esperto delle zone dell’est – che prende le mosse dalle storie delle famiglie rom della Bulgaria di ammaestratori di orsi.
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