Anniversari e Ricorrenze

Gertrude Stein: un'americana a Parigi

Immagine tratta dal libro "Gertrude Stein e la generazione perduta" di Valentina Grande, illustrazioni di Eva Rossetti, Centauria, 2022

Immagine tratta dal libro "Gertrude Stein e la generazione perduta" di Valentina Grande, illustrazioni di Eva Rossetti, Centauria, 2022

UN ANNIVERSARIO È UN ANNIVERSARIO

"Aveva una grande spilla rotonda in corallo e quando parlava, decisamente poco, o rideva, molto di più, era come se la sua voce uscisse dalla spilla. La sua voce era diversa da tutte le altre: profonda, piena, vellutata, come quella di un grande contralto, come due voci insieme" scrive Alice Toklas nel memoir What is remembered, a vent'anni dalla morte di Gertrude Stein, suo grande amore e insostituibile compagna di vita. E a noi lettori sembra che il famoso ritratto di Gertrude, con cui Pablo Picasso inaugurò la sua fase cubista, prenda vita e ci spinga con quella voce "che sembrano due" a rompere ancora una volta con stereotipi e luoghi comuni sia nella rappresentazione artistica  sia nella vita reale.

Siate uniche, siate unici sembrano dirci Gertrude e Alice. 

Nata il 3 febbraio 1874 a Pittsburgh in Pennsylvania da una ricca famiglia tedesca di origine ebraica, la giovane Gertrude approfitta fin da subito di una invidiabile offerta culturale che la porta a laurearsi in breve tempo in filosofia e in biologia e a intraprendere immediatamente dopo corsi universitari di psicologia e di medicina. Una generica delusione di fondo e alcune complesse vicende legate alla sua omosessualità, spingono Gertrude a interrompere tali studi e a far rotta su Parigi insieme a suo fratello Leo, come lei curioso e appassionato di quell'arte che lì custodisce il suo fulcro vivo e pulsante.

È il 1902, e chiunque nutra aspirazioni artistiche è a Parigi che vorrebbe trovarsi, per partecipare a quella primavera di movimenti, idee, sperimentazione di linguaggi nuovi e di rottura che come per magia sembra fiorire in ogni angolo della capitale francese. Leo e Gertrude scelgono la Rive Gauche, la mitica, e al nr. 27 di Rue de Fleurus inaugurano quella che ben presto diventerà la più importante galleria d'arte del primo Novecento, crocevia di ogni avanguardia artistica che si rispetti. Memorabili gli incontri del sabato sera quando, in una ahimè improbabile inversione temporale, vi si potrebbero ancora incontrare Picasso, Cézanne, Matisse, o Marie Laurencin che discutono di cubismo, e i poeti Max Jacob e Guillaume Apollinaire che recitano i loro versi mentre un giovanissimo Ernest Hemingway è intento a scrivere di quella travolgente bohème nel suo Festa mobile.

Un elenco definitivo degli artisti e degli scrittori scoperti, ospitati e sostenuti da Gertrude (e promossi da Leo) è impossibile,  salta sempre fuori un nome in grado di stupire, come quello di Alfred Stieglitz, ad esempio, il grande fotografo che per primo decise di pubblicare i saggi di Gertrude su Matisse e Picasso, per i tipi di Camera Work.

Oltre a governare col suo magnetismo quell'irripetibile universo culturale (che a volte sembra quasi travolgerla), Gertrude lavora, scrive, sperimenta nella scrittura la rivoluzione della forma avviata dai suoi amici pittori. A proposito di Teneri bottoni, opera ermetica in cui il linguaggio letteralmente esplode, contravvenendo a ogni codice o convenzione, scrive: 

Avevo delle cose sul tavolo, un bicchiere o qualsiasi altro oggetto, e cercavo di averne un'immagine chiara e di creare, separatamente nella mia mente, una relazione tra le parole e le cose che si vedono

E mentre qualche critico dice che con i suoi scritti Gertrude Stein non vuole rappresentare la realtà ma mostrarci come sia il linguaggio a costruirlo, lei afferma senza tentennamenti:

Io sono una scrittrice cubista

Vulcanica, irrefrenabile, instancabile, si cimenta nei generi letterari più disparati, fino ai libretti d'opera come quel The mother of us all, da cui è tratta la notissima citazione "Una rosa è una rosa è una rosa".

Scrive soprattutto di notte quello che poi di giorno trascriverà l'amorevole Alice, la compagna con cui Gertrude ha condiviso casa, viaggi, avventure, la vita insomma. A lei dedica il suo primo libro di successo, la celebre Autobiografia di Alice B. Toklas, dove, già a partire dal titolo, la vita delle due donne si intreccia e si confonde in quel vortice di autentica libertà che seppero creare intorno a loro. Gertrude e Alice riposano insieme nel Cimitière du Père Lachaise a Parigi, i rispettivi nomi incisi sul retto e sul verso di un'unica pietra tombale. 

Per approfondire

Picasso

Di Gertrude Stein | Abscondita, 2023

Autobiografia di Alice B. Toklas

Di Gertrude Stein | Lindau, 2020

Sangue in sala da pranzo

Di Gertrude Stein | Sellerio Editore Palermo, 2011

La sacra Emilia e altre poesie

Di Gertrude Stein | Marsilio, 1998

Autobiografia di tutti

Di Gertrude Stein | Nottetempo, 2017

Gertrude Stein e la generazione perduta

Di Valentina Grande | Centauria, 2022

Festa mobile

Di Ernest Hemingway | Mondadori, 2018

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Conosci l'autrice

Gertrude Stein è stata una scrittrice statunitense. Di ricca famiglia ebraica di origine tedesca, approdò alla letteratura e all’arte attraverso una formazione di tipo scientifico, avendo studiato psicologia sperimentale con William James e medicina, e in particolare neurologia, alla Johns Hopkins University. A partire dal 1903 si stabilì a Parigi, dove visse, con il fratello Leo e poi con l’inseparabile Alice B. Toklas, fino alla morte, a esclusione di un breve soggiorno negli Stati Uniti nel 1937 per un ciclo di conferenze. Nella sua casa di Parigi trovarono per molti anni un luogo e una ragione d’incontro artisti e scrittori americani, da A. Copland a S. Anderson, da E. Hemingway a F.S. Fitzgerald, rappresentanti di una generazione da lei definita ironicamente «perduta», insieme al meglio dell’avanguardia europea (Braque, Matisse, Picasso). Audace sperimentatrice, inventrice di una liberatoria asemanticità del verbale, la S. sembra attraversare il linguaggio con la precisa scientificità di un ingegnere della parola e del suono. Il suo sperimentalismo non è semplice rigetto della tradizione, ma rivela piuttosto una attenta decostruzione attuata con gli strumenti della psicologia e della neurofisiologia. La molla latente della sua scrittura è la consapevolezza che la tecnologia modifica i meccanismi percettivi della coscienza e, dunque, anche quelli espressivi: primo, tra questi, la parola. Già in Tre esistenze (Three lives, 1908), nato dalla lettura di Trois contes di Flaubert, il dettato apparentemente naturalista si spezza, e l’attenzione al vissuto delle tre protagoniste si fa studio dei ritmi e della sintassi del loro linguaggio, parlato e mentale. Con Teneri bottoni (Tender buttons, 1914) la S. inizia la sua opera di scomposizione linguistica, che annulla anzitutto il divario tra letteratura e arti figurative e tra il codice di queste e il codice della macchina. Così la scrittura si fa cubista al pari di una figura di Picasso; la parola diventa suono ideogrammatico di sé stessa, oppure ripetizione incessante (come nella sua famosa cifra linguistica: «una rosa è una rosa è una rosa è una rosa») che destabilizza la linearità del discorso. E il «racconto» finalmente non racconta più nulla. C’era una volta gli americani (The making of Americans, 1925) non ci dice, per esempio, come si sia formata, in realtà, la nazione americana; il trattatello Come scrivere (How to write, 1931) non ci insegna affatto a costruire un romanzo. E l’operina Quattro santi in tre atti (Four saints in three acts, 1929), musicata da V. Thompson, non traccia agiografie di sorta. Eppure è questo linguaggio fortemente denotativo come quello del computer a costringerci a una percezione primaria della realtà. È questa la parola-oggetto della pop art e della pubblicità; questa la parola-suono di J. Cage. E in questo rimescolare le categorie per rinominarle si rimescolano anche i generi letterari. Se Teneri bottoni è al contempo prosa e poesia, l’Autobiografia di Alice B. Toklas (The autobiography of Alice B. Toklas, 1933) − come poi L’autobiografia di tutti (Everybody’s autobiography, 1937) − rappresenta un violento scarto rispetto alla norma per il voluto intreccio d’identità tra la scrittrice e la sua inseparabile compagna. E, ancora, la singolarissima Storia geografica dell’America (The geographical history of America, 1936) è più un monologo surreale in forma di trattato filosofico che un saggio storico. L’approccio disincantato, spesso finemente aggressivo, con cui la S. raggiunge il lettore, fa della sua scrittura il coronamento, già «postmoderno», del grande realismo della tradizione americana.Fonte immagine: Immagine tratta dal libro "Gertrude Stein e la generazione perduta" di Valentina Grande, illustrazioni di Eva Rossetti

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