«Sono un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo». 30 anni fa, il mondo diceva «addio» a Federico Fellini. Il grande Maestro riminese ci lasciava il 31 ottobre 1993, stroncato da un ictus, all'età di 73 anni. Aveva, appena, festeggiato le nozze d’oro con l'amata musa, Giulietta Masina. Solo qualche mese prima, il regista de La Dolce Vita coronò la sua carriera con l’Oscar onorario che si aggiunse agli altri quattro vinti nella categoria Miglior film straniero (record per un regista) con La strada, Le notti di Cabiria, 8½ e Amarcord.
Cresciuto sulla riviera romagnola, Fellini mostrò fin da bambino una grande fascinazione per il cinema. Incuriosito dalle mascherate e dai clown (che tributerà nel mockumentary del 1970), si rivelò un talentoso caricaturista. Si trasferì a Roma e, dopo un apprendistato neorealista con Roberto Rossellini, diventò regista per caso quando Antonioni gli consegnò Lo sceicco bianco (1952) rimanendo coautore del soggetto.
Il mondo magico e onirico del suo Fanta-realismo ha influenzato praticamente tutti: Allen, Scorsese, Gilliam, Burton, Lynch, Kubrick (solo per citarne alcuni). Ma quali sono le opere che hanno suggestionato il suo immaginario creativo?
Paisà (Roberto Rossellini, 1946)
Seconda pellicola della Trilogia della guerra antifascista, rappresenta di fatto il battesimo di Fellini. Il cineasta riminese esordisce come aiuto-regista di colui che definisce «l’unico vero realista» e gira una breve sequenza nell'episodio di Firenze, regalando un nuovo punto di vista: quello simbolico.
L'avanzata delle truppe angloamericane, dallo sbarco in Sicilia fino alla lotta partigiana sul delta del Po, raccontata in sei episodi.
Ombre Rosse (John Ford, 1939)
Capolavoro che ha riscritto le regole del genere western. Un aneddoto su un equivoco tra i due grandi registi causato dalla traduzione italiana del titolo che dall’originale Stagecoach, ovvero «diligenza», diventò Ombre Rosse: si dice che quando Fellini incontrò Ford si complimentò con lui dicendogli di aver amato molto «Red Shadows» ma Ford non comprese.
Nel Far West, una diligenza con a bordo otto persone, che non hanno niente in comune tra loro, viene attaccata dagli indiani e salvata dalla cavalleria. Il film ha avuto un rifacimento nel 1966.
King Kong (Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack, 1933)
Il gorilla-pupazzone che si arrampica in cima al grattacielo con una bellissima donna bionda, stretta nella gigantesca mano. Fellini adorava questo avventuroso classico di Hollywood. Negli anni '70, De Laurentiis gli propose di girare il remake: il regista riminese acconsentì ma poi cambiò idea.
Ve lo immaginate un King Kong diretto da Fellini?!
Uno spregiudicato produttore parte per le riprese di una pellicola alla volta di un'isola misteriosa, sperduta nell'oceano. Gli indigeni rapiscono la protagonista del film per offrirla come sposa a Kong, mostruoso scimmione che vive aldilà di un ciclopico muraglione eretto dagli isolani. Il film ha avuto vari rifacimenti.
Luci della città (Charles Chaplin, 1931)
Un vagabondo si innamora di una fioraia cieca che lo scambia per un milionario. Fellini vide e rivide il classico di Chaplin, ridendo e lacrimando ogni volta. Incontrò Charlot a Parigi, subito dopo l’uscita de La strada (1954), rimanendo colpito dalla sua «vocetta gracchiante».
"Luci della città racconta l'amore meglio di qualunque altro trattato, libro o film sull'argomento" (Woody Allen). Charlie Chaplin si affaccia agli anni Trenta con un film muto e sonoro (senza parole, ma con musica ed effetti). Da due anni a Hollywood impazza il film parlato.
La palla nº 13 (Buster Keaton, 1924)
Sedotto dai grandi comici, Fellini aveva un debole per Keaton e lo preferiva a Chaplin. Lo incontrò, ormai anziano, durante una cerimonia degli Oscar. In questo gioiello meta-cinematografico, Buster interpreta un proiezionista che si addormenta sul lavoro e sogna di entrare nel film come detective.
2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968)
Kubrick nominò I Vitelloni il suo film preferito (I drughi seduti al bar ad «arrovellarsi il gulliver» ricordano un po' Sordi e compari). L’ammirazione era reciproca; Fellini e il regista britannico si scambiavano telefonate e telegrammi. Come quello inviato dopo la prima di 2001, in cui Federico scrisse senza virgole: «I need to tell you my emotion my enthusiasm».
Il capolavoro mondiale diretto da Stanley Kubrick torna con un'edizione epica e ricca di sorprese!
Un chien andalou - Un cane andaluso (Luis Buñuel, 1929)
Manifesto del cinema surrealista, il cortometraggio muto realizzato da Buñuel con Salvador Dalì ha influenzato lo stile del regista riminese. Basti pensare alla scena che chiude il film, in cui i personaggi raggiungono la riva del mare, che Fellini ha utilizzato per i finali de La Strada e La Dolce Vita.
Questo dvd contiene tre famosi esempi di Cinema Surrealista: “Un cane andaluso” e “L'età dell'oro” (ideati a quattro mani da Buñuel con Salvator Dalì) e “Limite” di Mario Peixoto, tuttora considerato il più grande classico della cinematografia brasiliana.
Fantasia (1940)
Affascinato da maghi e astrologi, il suo segmento animato preferito era L'Apprendista Stregone di Topolino. Fellini era attratto dal lato oscuro dell’universo disneyano e conobbe in persona il Walt degli anni '50, che lo invitò a fare un giro a Disneyland.
Episodi ispirati a celebri brani di musica classica con Topolino nelle vesti de "L'apprendista stregone" e animali in tutù nella "Danza delle ore".
Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914)
Primo kolossal epico della storia, fu scritto da Gabriele D'Annunzio e racconta la storia di una bambina romana che sta per essere sacrificata al dio Moloch ma viene salvata da uno schiavo dalla forza sovrumana di nome Maciste. David Wark Griffith realizzò Intolerance (1916) dopo aver visto Cabiria. Fellini omaggiò il monumentale lavoro di Pastrone con la «passeggiatrice» protagonista del suo film del 1957.
"Cabiria" è il più celebre film del cinema muto italiano. Quasi ogni aspetto della sua realizzazione costituisce per l'epoca una novità: le quasi tre ore di lunghezza, il budget esorbitante, la collaborazione di D'Annunzio, le gigantesche scenografie e gli effetti speciali, l'uso innovativo dei movimenti di macchina e della luce, la presenza in sala del coro e dell'orchestra.
Maciste all'inferno (Riccardo Artuffo, 1926)
Quindicesima pellicola (o per meglio dire spin-off) sul mitologico «gigante buono» originato da Cabiria e interpretato da Bartolomeo Pagano, Maciste all'inferno fu il primo film visto da Fellini al cinema Fulgor di Rimini. Un’esperienza magica vissuta sulle ginocchia del padre Urbano, quando era solo un bambino di sei anni con gli occhi spalancati sullo schermo «fiammeggiante». La pellicola sarà il punto di riferimento di tutta la filmografia di Fellini che, per sua stessa ammissione, tentò di rifare Maciste all'inferno ogni volta che girava un suo film.
Nel XVII secolo in Scozia Martha Gunt viene accusata di stregoneria e condannata al rogo. Un secolo dopo nello stesso villaggio arriva una ragazza che porta il nome Martha Gunt e tutto il villaggio crede che anche lei sia una strega, viene quindi ingiustamente condannata al rogo. Maciste decide di intervenire.
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