Sotto le copertine

Le vie dell'Eden, il nuovo libro di Eshkol Nevo, vive nella traduzione dall’ebraico di Raffaella Scardi

Io mi vivo come una cassa di risonanza, il libro entra dentro di me in una lingua e ne esce in un'altra ma il suono, la musica, dev’essere la stessa

Raffaella Scardi

È il momento de Le vie dell’Eden, il nuovo libro di Eshkol Nevo, autore acclamato in tutto il mondo e che in Italia, se possibile, gode in di una fama e di un successo ancora più grandi.
I suoi titoli, pubblicati tutti da Neri Pozza, scalano regolarmente le classifiche e dal suo libro, Tre piani, Nanni Moretti ha tratto il film presentato l’anno scorso al Festival di Cannes. 

Nevo (che in ebraico si pronuncia ‘Nevò’ con l’accento), considerato un allievo di Amos Oz, è un autore impegnato politicamente, capace di esprimere posizioni spesso critiche rispetto al governo israeliano. Vale anche la pena ricordare che Nevo è nipote diretto di Levi Eshkol, primo ministro d’Israele negli anni ’60. Insomma, quello di Nevo per il suo Paese è un nome importante e lui è un personaggio ingombrante, uno scrittore addirittura scomodo per alcuni.

Non è quindi difficile immaginare che un traduttore che si accinga a misurarsi con un simile autore possa provare un certo timor reverenziale nei suoi confronti, ma questo non è il caso di Raffaella Scardi che ai romanzi di Nevo fornisce una voce italiana da anni, e lo fa come meglio non sarebbe lecito domandare.
Scardi cura da sempre tutte le pubblicazioni dell’autore israeliano, conoscendolo personalmente da anni e probabilmente meglio di chiunque altro in Italia.  Ma oltre all’indiscussa competenza professionale, il valore aggiunto del lavoro di Raffaella è forse la passione intellettuale e il trasporto spirituale che le permettono di far vivere nella nostra lingua le mille sfumature e le altrettante vibrazioni di cui la scrittura di Nevo sa farsi portatrice.

D’altra parte, anche il lavoro del traduttore è un work in progress, una mutazione continua anche nei contorni dello spazio che occupa all’interno della filiera editoriale.
Prova ne sia il dibattito a proposito dei possibili approcci che questa professione può comportare: da lavoro negletto, compiuto nelle retrovie – spesso nella scarsa considerazione offertagli dalle altre parti dell’industria culturale – la pratica traduttiva sta assumendo lentamente un ruolo centrale anche nel sistema editoriale italiano. È, questo, un sistema nel quale per gli autori stranieri fino a non molto tempo fa spesso ci si affidava a traduzioni di seconda mano.
Raffaella Scardi da par suo ha le idee molto chiare, e va alla fonte dei testi sui quali sta lavorando, cercando di renderne tutte le sfumature lessicali e culturali.
A riprova di un itinerario professionale di assoluta qualità, è arrivato il Premio Lorenzo Claris Appiani dedicato alla traduzione letteraria, che Scardi ha vinto nel 2021 per il lavoro su Bugiarda, ultimo libro pubblicato in Italia di Ayelet Gundar-Goshen, una delle voci nuove più interessanti nella narrativa d’Israele.

Anche noi di Maremosso abbiamo allora deciso di iniziare un viaggio d’esplorazione e scoperta nel mondo della traduzione, partendo da una gemma preziosa, il nuovo libro di Nevo, per giungere a una felice scoperta: la bellezza irrinunciabile del lavoro del traduttore.

Raffaella Scardi

Il 24 febbraio esce in libreria il nuovo libro di Eshkol Nevo, tradotto in italiano con: Le vie dell'Eden.  Qual era il titolo originale dell’opera e quanto è appropriata questa traduzione?

La traduzione del titolo è stata una questione complessa.
Il titolo originale in ebraico Gever nichnas bapardes significa: Un uomo entra nel frutteto, che rimane come titolo interno per l’ultima delle tre parti di cui si compone il libro.  
Questo titolo si rifà a un racconto talmudico molto noto che parla di quattro rabbini. Questi entrano in un frutteto e ne escono, o non ne escono, cambiati. Questo frutteto è una sorta di giardino dell'Eden, nel quale si può entrare ma da quale, non si sa perché, non sempre si può uscire. 
E la traduzione non è stata facile proprio perché mentre in ebraico il richiamo all'episodio talmudico è immediato, in italiano ovviamente non lo è.
È stata fatta dunque una lunga ricerca e la scelta finale mi sembra molto giusta, penso che incuriosirà i lettori riuscendo a raggiungere nello stesso tempo anche quello che è il cuore del libro. 

Le vie dell'Eden
Le vie dell'Eden Di Eshkol Nevo;

Con lo sguardo acuto e profondo che lo ha reso uno degli autori più amati, Eshkol Nevo indaga dietro le maschere che vestiamo per gli altri, ma anche su quelle che indossiamo quando ci troviamo di fronte a verità troppo difficili, o pericolose, da accettare

Raffaella Scardi

Il lavoro del traduttore può in qualche modo facilitare i lettori nella comprensione del testo attraverso il suo lavoro sulla lingua?

È un lavoro fondamentale.
Io traduco dall'ebraico, che è una lingua conosciuta da pochi, legata a una cultura in parte nota ma anche sconosciuta, quindi mi pongo sempre in una sorta di negoziato fra ‘interno’ ed ‘esterno’ della cultura ebraica, per capire quanto posso - ma soprattutto quanto devo - facilitare il lettore. 
E in questo libro ci sono stati diversi elementi di difficoltà tanto che, su specifica richiesta dell'autore, ho inserito due note, cosa che solitamente non faccio nei romanzi.
Proprio perché al suo interno c'erano questioni non altrimenti risolvibili.

Una parte consistente del mio lavoro è quella di portare la voce di Eshkol Nevo in italiano, nei diversi registri che utilizza. In questo caso in modo particolare, perché è un’opera composta da tre racconti e ognuno di essi ha un registro linguistico molto differente dagli altri.

Nevo è sempre stato un autore corale, un autore che porta diversi personaggi all’interno dei suoi libri e anche quando il personaggio è unico, come in L’ultima intervista, porta tanti episodi differenti. Questo cambiamento continuo del linguaggio è proprio la sua cifra stilistica e per me è importantissimo riuscire a renderlo in italiano. L’altra parte fondamentale del mio lavoro è quella di portare in maniera il più possibile agevole, nella precisione della traduzione, alcune informazioni in più rispetto a un contesto che spesso non è noto.  Allora cerco di ‘allargare’, magari di pochissimo, aggiungendo qualche cosa all'interno del testo. Bisogna però essere molto attenti e precisi nel dare questa informazione in più, non deve essere troppa ma neanche troppo poca, per non creare confusione nei lettori.

Quanto conta per un traduttore avere un rapporto privilegiato con un autore, con la sua voce e col suo evolvere nel tempo, tanto più con un autore di successo come Nevo?

Per quanto riguarda il mio rapporto con Nevo e il modo in cui questo si riflette nel mio lavoro di traduzione, sono molto fortunata.
Ci conosciamo da più di dodici anni, ho tradotto e traduco tutti i suoi libri, tutti i suoi articoli, abbiamo un contatto continuo e molto amichevole.
Oggi più che all'inizio, ovviamente, posso chiedergli qualunque cosa. Non credo che tutti i traduttori possano avere questa fortuna. Il mio lavoro con Nevo è davvero un lavoro fianco a fianco, ci sentiamo ogni volta che serve via WhatsApp o via mail, ma soprattutto non c'è stato libro di cui io non abbia discusso con lui di persona, in Italia o in Israele, ed è stato così anche per Le vie dell'Eden.

E c’è un'altra cosa secondo me fondamentale, Eshkol e io abbiamo la stessa età, abbiamo avuto percorsi di vita simili, la famiglia, i figli, e questo credo che mi abbia facilitato perché Nevo è un autore che porta la sua vita personale nei suoi romanzi e questo suo evolvere, anche umanamente, nel tempo ha potuto trovare sempre una corrispondenza dentro di me. Una volta infatti mi ha scritto questa dedica: ‘Probabilmente il motivo per cui la ‘mia musica’ esce così bene in italiano tramite il tuo lavoro è perché abbiamo una musica simile’. Penso che sia molto vero e penso che lo stesso valga anche per la lingua. Quella di Nevo è una lingua viva, in continuo movimento, che cambia con il passare del tempo come la lingua ebraica viva, parlata, che lui usa. Infatti, anche se ora vivo in Italia, ho vissuto a lungo in Israele e quindi conosco da dentro l'esperienza che lui vive e racconta. Anche se poi, paradossalmente, da quando ho cominciato a tradurlo… sono tornata in Italia.

A proposito di musica, come potrebbe essere raccontata la musicalità propria della lingua ebraica a un lettore italiano?

Personalmente quello che percepisco non è tanto 'la musicalità della lingua ebraica' in generale, quanto la musicalità declinata all’interno di ogni autore.  
Ed è questa la parte fondamentale del mio lavoro. Io mi vivo come una cassa di risonanza, il libro entra dentro di me in una lingua e ne esce in un'altra ma il suono, la musica, deve essere la stessa. Lavorando a quest’ultimo romanzo di Eshkol Nevo per esempio, mi sono trovata di fronte a un testo brevissimo contenuto all'interno del terzo racconto, solo 120 parole, ma difficilissimo da tradurre, perché era un brano profondamente musicale con un ritmo sincopato, velocissimo che dovevo tradurre cercando di mantenere e rendere in italiano. Autori diversi hanno una ‘musica’ diversa e se alla fine mi rendo conto che ‘suonano’ nello stesso modo, significa che qualcosa che non ha funzionato nel mio lavoro.

La lingua ebraica, così com’è codificata oggi, è una lingua relativamente giovane. Cosa significa per un traduttore non poter poggiare su una tradizione traduttologica di lungo corso? Che cosa comporta in termini di assunzione di responsabilità, ma anche di libertà nel lavoro di traduzione?

L’ebraico parlato in Israele, quello che il sionismo ha voluto far rinascere, ha cent'anni, è vero, ma allo stesso tempo è una lingua che poggia su una tradizione antica, importante, nella quale risuonano continuamente echi dell'ebraico biblico. Un israeliano, oggi, può   ancora leggere la Bibbia: qualcosa potrà suonare difficile alle sue orecchie e le strutture sintattiche sono cambiate, ma sicuramente sarà in grado di comprenderla perché la lingua della Bibbia è ancora molto vicina alla lingua viva. Ecco, riportare questa eco all’interno di un testo può essere molto complesso e non credo neanche che sia sempre possibile coglierla, per un lettore non israeliano.  Diventa allora una decisione da prendere di volta in volta, a seconda del tipo di romanzo, dello stile dell'autore, della volontà della casa editrice, quante di queste eco riportare al lettore. Io da traduttrice le sottolineo, anche se non credo che tutti i lettori saranno sempre in grado di coglierle… e in questo libro di Nevo sono veramente tante! 

Raffaella Scardi

Dalla Bibbia passiamo alla questione politica: quanto è possibile per la letteratura israeliana contemporanea prescinderne?

Non direi che la narrativa israeliana contemporanea cerchi in alcun modo di prescindere dalla questione politica e non credo neanche che debba farlo, la questione politica c’è, sempre.
D’altra parte, fin dall’inizio, quella della letteratura israeliana è stata una storia di coinvolgimento politico, anzi: la letteratura è stata proprio uno degli strumenti della rinascita della lingua ebraica in senso laico, e gli scrittori israeliani si espongono politicamente molto spesso, Nevo in primis. Neuland, Una nuova terra, per esempio, che è stato uno dei suoi primi romanzi, è un libro molto politico a partire dal titolo, che è un riferimento esplicito a uno dei libri più famosi di Théodor Herzl, padre del sionismo, Altneuland, Nuova terra antica.
Herzl sognava una Palestina ricca, florida, una terra di pace tra arabi ed ebrei.

Eshkol Nevo propone invece volutamente solo una Neuland, una terra nuova che dovrà sorgere in Argentina, esplicitando così la sua forte critica al sogno sionista e al modo in cui è stato realizzato. È un libro lungo, faticoso, ma è anche il più denso di messaggi, di creatività e anche di varietà stilistica e per questo è un libro che io amo molto. Con questo libro Nevo si è messo totalmente in gioco.

È questa, dunque, una delle ragioni per cui ama così tanto tradurre la letteratura israeliana e un autore come Nevo in particolare?

Ho iniziato a tradurre gli scrittori israeliani più di vent'anni fa ma il mio rapporto con la letteratura ebraica è nato molto prima, ai tempi della mia tesi di laurea alla Statale di Milano, in Storia delle dottrine politiche, con una tesi su ‘Politica e Letteratura’. Leggendo, traducendo, scrivendo, a poco a poco mi sono resa conto che non c'era modo più profondo, ricco e felice di portare Israele nella sua anima più vera e profonda in italiano del farlo attraverso la sua letteratura. Parte della mia crescita è stata in Israele e parte in Italia e questa mia doppia anima mi permette di essere, di appartenere ad entrambi questi mondi.  La possibilità di portare in Italia quella che per me è Israele veramente è molto importante proprio per questa mia personale, privata, identitaria dualità.  Amo il fatto di vedere riunite queste due parti di me, ricostituire un'unità a cui una parte di me sempre aspira, tanto più quando mi innamoro di un libro, quando posso veramente metterci dentro tutta me stessa, la mia volontà di portare l'amore per un mondo nell'altro, portare l'anima di un mondo nell'altro.

Naturalmente Israele, come ogni luogo, è tante cose; ogni scrittore è diverso e ogni lettore è diverso, però gli scrittori israeliani possono veramente raccontarci qualcosa di molto primigenio, archetipico, attraverso i loro personaggi.

Dagli archetipi al duro lavoro quotidiano, ci racconta com’è la giornata tipo di un traduttore?

Difficile rispondere. Io non credo di essere un “traduttore-tipo”.
Per me sarebbe difficile fare un lavoro avendo solamente uno schermo come interlocutore.
Oltre che come traduttrice, io lavoro come interprete, accompagnando anche gli autori israeliani nelle loro visite e questa è una parte del lavoro che spesso i traduttori non hanno, e che io trovo meravigliosa.  Tradurre dunque è una parte importante del mio lavoro ma si inserisce in un desiderio di mediazione culturale più generale. La giornata tipo del traduttore credo consista nello stare molto, molto tempo davanti al computer… e a cercare di andare un po’ a camminare per sopperire ai dolori che lo schermo regala!

Da traduttrice, come considera l’avvento del digitale e di internet, cioè la possibilità continua di accedere a risorse linguistiche pressoché illimitate?  

L’accesso al digitale per il mio lavoro è assolutamente un bene, una risorsa incredibile.
Anzi, ho stima sconfinata per coloro che traducevano prima dell'avvento di internet.
Era sicuramente un altro lavoro, qualcosa di talmente lungo e complesso che non posso immaginare… credo però che anche le richieste al traduttore fossero diverse. Faccio un esempio. Nevo è un autore che inserisce continuamente nei suoi libri testi, titoli di canzoni o citazioni di brani musicali e io mentre traduco lavoro sempre con due schermate, per ascoltare contemporaneamente il brano di cui Nevo parla - perché ovviamente lì ci sono un riferimento o un nesso importanti per il testo, per il messaggio che vuole dare. Ecco: in un'altra epoca, questo tipo di lavoro, di modalità, non sarebbe stata assolutamente possibile, tanto più trattandosi a volte di musica israeliana che è meno conosciuta. E lo stesso vale anche per l'aspetto dell’interlocuzione con l'autore: con Nevo ci confrontiamo costantemente tramite mail o WhatsApp.  Certo potrebbe anche esserci un aspetto paradossale legato al digitale, si potrebbe mettere un intero libro Eshkol Nevo su Google Translate e il traduttore… non servirebbe più!  Ma sinceramente non credo che questo possa essere il caso della letteratura!

La narrativa israeliana dell’ultimo decennio sembra attraversare un momento di grande fermento. È possibile, secondo lei, evidenziarne una qualità specifica, qualcosa in grado di renderla riconoscibile agli occhi di un lettore europeo?

All’inizio ci sono stati Yehoshua, Oz e Grossman, loro sono stati i primi - e per molto tempo gli unici - autori israeliani a diventare popolari in Italia. Ogni autore venuto dopo inevitabilmente si è dovuto confrontare con loro. Ma dopo la 'grande triade” la letteratura israeliana si è frammentata in molte voci e non credo che queste nuove voci possano essere sempre riconoscibili come ‘israeliane’, anche se Israele rimane lo sfondo, l’elemento di confronto. Negli ultimi vent’anni la narrativa israeliana è cambiata, sono nate anche molte voci femminili e in generale, rispetto al passato, è emersa una volontà di entrare molto più nell'individuale. Nevo stesso ne è un esempio, nei suoi libri c’è da un lato un 'legame' sempre presente con Israele, con la sua storia, ma dall'altro un interesse spiccato per quello che è l'interiorità, lo studio psicologico, lo sviluppo emotivo dei personaggi e dei loro sentimenti. O come in Etgar Keret, per citare un altro nome, che è un autore molto originale e che mantiene da un lato il confronto e il legame con il suo paese e con la politica, ma dall'altro ha una voce molto individuale che scava nel personale. Ecco, direi che questa ‘dualità è una delle ‘cifre’ della letteratura israeliana contemporanea

Prima di lasciarci, ci regala tre lampi su altrettanti titoli che ha tradotto? Titoli da consigliare a chi voglia avvicinarsi alla letteratura israeliana contemporanea…

Certamente. Il primo libro che consiglierei è di Amir Gutfreund, Per lei volano gli eroi, tradotto per Neri Pozza. È un libro che ho amato immensamente e che suggerisco a chi è interessato alla storia di Israele. Dentro questo libro c'è tutto: c'è la sua storia, dal 1967 al 1995, ma c’è anche uno scrittore che sa far ridere e che sa far piangere, e per questo lo trovo molto affascinante.  Poi tra i libri di Ayelet Gundar-Goshen consiglio sicuramente Svegliare i leoni, perché ci porta in una Israele che nessuno porta, quella dei lavoratori stranieri e degli immigrati illegali.

Infine, c’è Eshkol Nevo, naturalmente, con Neuland… anche se forse, per chi non ho mai letto Nevo, sarebbe meglio iniziare da L'ultima intervista, un libro circolare, completo, ricco, in cui c'è tutto questo autore.

Ci lasciamo allora con un ringraziamento e, per una volta, con una citazione che non è di un autore ma di un traduttore:  

Non conosco mezzo migliore per conoscere Israele che leggere i suoi scrittori

Grazie, Raffaella Scardi!

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