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Yoga di Emmanuel Carrère

“La meditazione è trovare dentro di sé una zona segreta e irradiante, dove stare bene. La meditazione è essere al proprio posto in qualsiasi posto.” Eppure “i praticanti di arti marziali, […] di tutte queste discipline sublimi, fulgide e benefiche […] non sono necessariamente né saggi, né tranquilli.”

Lo sa bene Emmanuel Carrère, che aveva deciso di scrivere un “libricino arguto e accattivante sullo yoga” e le altre discipline orientali, con l’intento di spiegare che “sono, più che una pratica piacevole e salutare, una maniera di rapportarsi al mondo, una via di conoscenza.” Infatti, il romanzo si apre con il seminario di meditazione “Vipassana”, a cui lo scrittore prende parte. Ma ben presto l’esistenza armonica e blindata del conclave di meditanti s’infrange contro la durezza della realtà: la notizia dell’attentato terroristico a “Charlie Hebdo” interrompe bruscamente il ritiro spirituale di Carrère, che lo abbandona per tenere il discorso al funerale dell’amico Bernard Maris.

Poi ci sono i ricoveri in clinica per il disturbo di bipolarismo, dove meditare diventa doloroso perché i pensieri sono erratici, sconnessi, stridenti. Turbinano e feriscono”, l’esperienza d’insegnamento nell’hotspot di Lesbo, dove lo scrittore osserva la disperazione e la speranza vivere nei corpi e nelle storie dei giovani migranti, e poi il vuoto incolmabile lasciato dalla morte di Paul Laurens, suo amorevole e visionario editore, nonché compagno di sbronze per oltre trent’anni.

Di fronte a tutto questo dolore “fin che puoi continui a non morire. Continui a non morire ma non ci metti nessun entusiasmo. Non ci credi più. Sei convinto di non avere più niente da giocarti, che non succederà più niente.” Ma soprattutto ti chiedi: “la meditazione può avere la meglio sull’orrore che serpeggia sotto la superficie della mia vita?”

Insomma, Carrère si rende conto di una cosa:

Con il mio libricino arguto e accattivante sullo yoga ero un po’ nella merda

Quindi più che un libro sullo yoga, questo è un libro attraverso lo yoga, in cui lo scrittore racconta, con la sua penna fluida e geniale, la resistenza quotidiana nel convivere con i propri demoni. E con questo suo narrarsi in modo autentico, passando con disinvoltura da frasi più estatiche e spirituali a toni ironici e fraterni, riesce a parlare di tutti e a tutti, insegnando a non vergognarsi delle proprie miserie.

Scrutando nell’intimo di un “campione di essere umano”, questo libro confronta l’aspirazione alla serenità con l’abisso della disperazione, e l’oscillare tra questi due poli delle nostre esistenze, che è in fondo il moto perpetuo della vita.

In questo libro lo yoga diventa la risorsa per osservare con distacco questi due poli per come sono, senza giudicarli, per avvicinarli e tenerli insieme.

E ognuno di noi viene invitato a trovare la propria personalissima forma di yoga; nel caso di Carrère potrebbe essere, come gli ha suggerito Paul, “imparare a scrivere con tutte e dieci le dita”.

Perché lo yoga insegna anche che ognuno di noi deve lavorare con la vita che ha a disposizione: alla fine la meditazione è “cacare quando si caca, tutto qui. La meditazione è non aggiungere nulla.”

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