Paolo Berizzi, giornalista e scrittore, è conosciuto dai più principalmente per il lavoro di indagine sul neofascismo, di cui si è occupato anche nel suo ultimo libro, È gradita la camicia nera. Verona, la città laboratorio dell'estrema destra tra l'Italia e l'Europa, uscito a ottobre per Rizzoli. Proprio a causa del suo impegno in tale ambito, dal 2019 è costretto a vivere sotto scorta.
Al momento lavora principalmente per Repubblica e si occupa, oltre al neofascismo, dei più svariati temi, dal lavoro nero alla contraffazione, dal narcotraffico alla criminalità organizzata. Da “artigiano della notizia”, come si definisce, ritiene che per un giornalista sia molto importante padroneggiare l’arte del narrare le storie e, a questo proposito, consiglia uno dei libri più famosi di un maestro della narrazione, Italo Calvino.
Il mio libro cult è Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, perché è un libro di suggestioni, di racconto e di emozioni e perché da artigiano della notizia (noi giornalisti sostanzialmente raccontiamo storie) ho sempre ritenuto importante colpire il lettore sia con i dati di realtà che con le suggestioni. Se una notte d’inverno un viaggiatore è stato il motore per me del codice di lettura, della chiave con cui raccontare le cose, è un libro a cui sono fermamente ancorato anche per il mio mestiere di cronista e narratore
Italo Calvino non ha certo bisogno di presentazioni, essendo stato uno dei più grandi scrittori del secondo Novecento e Se una notte d’inverno un viaggiatore è indiscutibilmente una delle sue opere più riuscite. Pubblicato nel 1979 da Einaudi, Se una notte d’inverno un viaggiatore è un romanzo sperimentale che può essere considerato un esempio di letteratura postmoderna.
Concepito nella fase più originale della sua carriera di scrittore (a seguito dei contatti con il gruppo di scrittori francesi dell’Oulipo, che intendeva la letteratura come gioco combinatorio), Se una notte d’inverno un viaggiatore è composto da dieci diversi incipit di romanzi e da una cornice, che narra invece la storia del Lettore e della Lettrice (Ludmilla). Il romanzo si apre con l’autore che dà del “tu” al lettore, comunicando «stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino».
Il Lettore comincia a leggere, salvo poi accorgersi che il libro presenta un difetto di impaginazione che non rende possibile conoscere il seguito della storia. Si reca allora in libreria per chiedere la sostituzione del volume e incontra la Lettrice, avente il suo stesso problema. Entrambi ricevono un altro volume, ma ben presto si accorgono che, oltre ad avere una trama completamente diversa dal precedente, anche questo è incompleto. La ricerca della conclusione li porta ad imbattersi in un terzo libro, e così via, per dieci differenti incipit, dieci differenti storie: è un viaggio attraverso i generi letterari, dal thriller al poliziesco al romanzo d’amore.
Lo scrittore David Mitchell, autore del romanzo "Cloud Atlas - L'atlante delle nuvole", ha dichiarato di essere rimasto affascinato dalla lettura del libro di Calvino. Chiunque abbia letto entrambi i romanzi non avrà difficoltà a riconoscere, nella prima metà del romanzo di Mitchell, una chiara impostazione calviniana, con l'incipit di sei diverse storie che si susseguono l'una dopo l'altra.
Così parlava del romanzo Calvino, in una conferenza a Buenos Aires: “È un romanzo sul piacere di leggere; protagonista è il lettore che per dieci volte comincia a leggere un libro che per vicissitudini estranee alla sua volontà non riesce a finire. Ho dovuto dunque scrivere l’inizio di dieci romanzi d’autori immaginari. Tutti in qualche modo diversi da me e diversi tra loro.”
Calvino gioca sull’esigenza umana di controllo della vita e anche della finzione, sulla necessità della chiusura, dei trucchi e degli ingranaggi del meccanismo della narrazione. Le dieci storie hanno un inizio, ma non una fine, anzi, spesso si interrompono sul più bello.
Lei crede che ogni storia debba avere un principio e una fine? Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire: passate tutte le prove, l’eroe e l’eroina si sposavano oppure morivano. Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l’inevitabilità della morte
Se i dieci racconti aprono all’indefinito, negando al lettore il bisogno di una conclusione, lasciandolo con la fatidica domanda “e poi? Che succede?” (schema che le serie tv ora sanno padroneggiare benissimo, proponendoci quasi sempre un finale di stagione ricco di interrogativi), non accade così per la cornice del romanzo: alla fine, scopriamo che il Lettore e la Lettrice si sono sposati: è un finale che propende per la “continuità della vita”.
Il lavoro artigiano di Calvino sta nella costruzione della struttura, una cornice e dieci incipit diversi, nell’apertura alle diverse possibilità offerte dalla finzione (e, metaforicamente, dalla vita), negli ingranaggi narrativi che sanno rendere coinvolgente una storia, e nel ruolo del narratore: per i dieci incipit ogni volta vi è un autore diverso, che narra in prima persona; per la cornice il narratore è Italo Calvino, che non coincide però con Italo Calvino autore del romanzo che il Lettore non riesce a portare a termine, e si riferisce direttamente al lettore, dandogli del “tu”, rendendolo parte attiva del racconto.
La grandezza di Calvino sta dunque nell’essere riuscito a concepire un perfetto romanzo sperimentale, scoprendo in parte i “ferri del mestiere” di chi scrive storie e al contempo giocando sul bisogno umano di conclusione e controllo che, essendo pressoché impossibile nella vita, viene ricercato nella finzione.
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