«Un assassinio, signor Ventós, un assassinio». L’ispettore Dávila indaga sull’omicidio di Carlota “morta nell’acqua, come Ofelia”.
Il signor Ventós conosceva Carlota e il suo compagno Luis molto bene; conosceva anche Pepa e Mondell. Aveva incontrato i quattro durante uno dei suoi viaggi, ed era diventato loro intimo amico. Carlota, fantasiosa ed elegante, dalla bellezza “botticelliana”; Luis, un uomo bruno, con gli occhi grandi e neri; la barba folta. Pepa, dai fianchi morbidi e dal temperamento volgare; e Mondell che ogni volta che «entrava in una stanza, qualunque fosse, tutti gli sguardi puntavano su di lui. Dapprima sulla sua testa da arcangelo biodo, poi sulla splendida figura da principe […]».
Quando Carlota viene assassinata, il suo gruppo di amici, un'élite benestante e indifferente, diventa il luogo prediletto dove indagare e cercare risposte. Ma, oltre alle circostanze che hanno portato alla morte di Carlota, l'indagine porterà a galla altri misteri.
È proprio Ventós, narratore e protagonista del romanzo, che racconta l’avanzamento delle indagini, ricostruendo i fatti che portarono all’omicidio. L’autore lascia che la narrazione sia interamente poggiata sul punto di vista del personaggio. Attraverso i suoi occhi, il quartetto appare come parte di un’élite moderna e annoiata, all’interno della quale, sono nate e cresciute dinamiche fatte di apparenze e inganni. Le due coppie di amici, giovani, colti e benestanti, sembrano godersi la vita incuranti di tutto ciò che non riguardi il loro immediato presente, fatto di viaggi, cene e piaceri. Carlota e Luis vivevano in un ambiente sociale che era per loro
un paesaggio predestinato da cui potevano aspettarsi di tanto in tanto un assegno, un appoggio economico per avviare il negozio di antiquariato, e un giorno o l’altro un’eredità sufficiente che avrebbe loro permesso di continuare a essere quello che erano sino alla fine dei loro giorni, ossia ragguardevolmente niente, considerevolmente nessuno. E vivevano in questo stato d’animo senza una cattiva coscienza.
Pepa aveva studiato arte e in qualche occasione Ventós si era chiesto che cosa avesse trovato in lei Modolell, per poi scoprire dopo mesi di frequentazione che «lo salvava e lo scusava dal conoscere sé stesso».
La storia di ciascuno era la storia dei quattro.
A unirli era stata la mancanza di valori e di obiettivi, e la conoscenza, grazie alla cultura, di quasi tutti i principi e gli obiettivi possibili. Erano quindi dei fruitori famelici e soltanto Modolell si vedeva costretto a creare, in quanto collaboratore dello studio di architettura del padre. Forse per questo motivo proiettavano in loro stessi e nel quotidiano tutto il loro desiderio o necessità di agire, in un esercizio di narcisismo che li rendeva belli, colti e curiosi […]
Un quartetto quindi dice Ventós, in cui «era facile assegnare i ruoli: Carlota era il soprano o la viola, Luis il basso o il primo violino, Pepa il contralto o il violoncello». Ma al servizio di quale musica? «Troppo elusivi alle responsabilità per impegnarsi nei quartetti di Bach o di Beethoven. Erano fatti su misura per i balbettanti quartetti di Boccherini».
Un romanzo intrigante che tiene con il fiato sospeso fino all’ultima pagina e che scandaglia alcuni paradigmi insiti del genere umano.
Io non sono chi sembro essere, mi ripeto più volte davanti allo specchio del bagno, in sordina quando non sono solo e ho bisogno della compagnia fondamentale della mia frase prediletta, mentalmente quando persino il sottovoce potrebbe sorprendere quella vigile e aggressiva disponibilità che gli altri ci dedicano
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