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Minari di Lee Isaac Chung

Trama: una famiglia coreana di quattro persone si trasferisce dalla California all’Arkansas, nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita mediante l’agricoltura. In una situazione già non semplice, li raggiunge la nonna materna.
Il film, che ha varie aderenze con la vita reale del regista Lee Isaac Chung (cresciuto in Arkansas e di origini coreane), è ambientato negli scintillanti anni Ottanta di Reagan e racconta di un’America diversa, lontana dalle grandi città – Dallas è a otto ore, per dire – e rurale, dove anche i sogni sono piccoli, dalla modesta casa-roulotte alle dimensioni dell’appezzamento di terreno. L’opposto del bigger than life.
La scelta dell’autore però è vincente perché, tramite occhi divers,i vengono narrati degli Stati Uniti nei quali non ci sono muscoli in mostra, dove la tipica spavalderia può restare fuori dall’uscio, dove invece dei consueti redneck si possono trovare reduci di guerra sui generis ma gentili (straordinario Will Patton) e la principale sfida è quella combattuta con la natura.

La bravura del regista consiste anche nel disporre in maniera chiara le carte sul tavolo portando subito lo spettatore in medias res, e puntando su discussioni, speranze e timori della coppia di adulti, salvo poi far irrompere in scena la nonna (un’ottima Yoon Yeo-jeong, Oscar come migliore attrice non protagonista) e scardinare l’ordine delle cose, mettendo al centro dell’azione il rapporto tra il figlio più piccolo e la donna anziana.
La valenza è doppia, poiché il fuoco si sposta sui più indifesi ma anche sugli unici che avranno a che fare con problemi di salute. 

Nella chitarra delle emozioni, Chung lavora sulla corda del mi cantino, piuttosto che su quelle più gravi, e narra la vita per come può – o forse deve – essere, raccontando un’ipotesi di American Dream in chiave minore, spogliandola della retorica del vincitore a ogni costo e riportando in primo piano un semplice ma decisivo assunto: l’agiatezza economica deve essere un mezzo e non un fine e se porta a discordie e alla perdita di quanto più umano c’è in noi, allora forse è il sogno sbagliato.
Tipicamente orientale è la modalità rispettosa attraverso la quale viene mostrato il rapporto con la nonna, sia nei momenti più quotidiani che in quelli più problematici. Per chi volesse saperlo, il minari è una pianta aromatica, simile al nostro crescione.

In sostanza: l’opera non mostra mai ambizioni forzatamente didattiche, non vuole insegnare nulla tramite la vicenda (in fondo banale) vissuta dai suoi antieroi, preferendo piuttosto cesellare vite che fremono, che accedono con intensità a emozioni universali e lo fanno con – benvenuta rarità – pudore.

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