C’era un abbozzo di narrazione a cui stavo dando forma sullo sfondo di quei crimini ripugnanti, e mi sentivo come in un film, specie quando mettevo su I’m So Afraid dei Fleetwood Mac nella casa vuota sulla Mulholland strafatto di Valium
Ci sono voluti tredici anni perché uno degli scrittori americani più celebrati di sempre tornasse a scrivere. Del resto, dopo quella sua età dell’oro di cui American Psycho rimane il rappresentante più noto, c’era qualcos’altro da scrivere, un altro stile da inventare, un’altra storia da darci in pasto? Sì, c’era. Ed è una delle storie più personali, un’autofiction – non fatevi spaventare dalla moda, qui è ben fatta – in cui il protagonista è proprio Bret Ellis, ma quello all’ultimo anno di liceo, quello spensierato, che sembra così lontano al narratore eppure è reso con tanta e tale realtà che noi lettori non possiamo che trovarci insieme a lui tra i banchi di scuola, nella Los Angeles degli anni ’80, alle prese con un serial killer che ammazza i nostri compagni di classe.
Nelle Schegge uno dei personaggi – addirittura, talvolta, la protagonista – è la città, è Los Angeles. Ellis affonda le mani in un paradiso, passato e perduto, indubbiamente, in cui le auto di lusso, le droghe stordenti, il sesso clandestino e le relazioni superficiali sono la scenografia perfetta per una storia torbida e malinconica. E raccapricciante, soprattutto. Perché in questo luogo idilliaco, dove tutto funziona secondo schemi che appaiono immutabili e immutati da millenni (eppure, è tutto nuovo, ma ha così presa che diventa già storia), ecco arrivare l’estraneo, le fondamenta del paradiso vacillano. E solo allora ci si accorge che tutto è un castello di carte, raffinatissimo, ma pur sempre di carte, e caduta una, le altre seguono con l’ineluttabilità propria delle cose che sfuggono di mano.
Nell’autunno del 1981, la vita di un gruppo di diciassettenni californiani che frequentano l’elitaria Buckley School viene sconvolta dall’arrivo di un ragazzo tanto affascinante quanto disturbato e perverso. Cosa nasconde Robert Mallory, e qual è il suo legame con il serial killer che sta imperversando in città?
Il nostro mondo morirà, pensai tutt’a un tratto: era inevitabile
Bret è uno studente dell’ultimo anno alla Buckley, una scuola privata talmente esclusiva che alla fine, tra le vie del suo campus, ci si conosce tutti. Bret ha la sua cerchia di amici, ricchi, annoiati, strafatti per non pensare ai dolori quotidiani e alla vacuità dell’esistenza. Sono belli e giocano a football o sono le ragazze più popolari – che nostalgia! Bret ha anche un segreto: ha relazioni occasionali e clandestine con alcuni dei suoi compagni di scuola, Matt e Ryan, per esempio, anche se sta con Debbie, una della cerchia dei più fighi. Poi arriva uno studente nuovo, bellissimo, misterioso, inquietante, che si chiama Robert Mallory e che Bret è convinto di aver già visto da qualche parte. E con lui le cose iniziano a sfaldarsi.
Perché nel frattempo in città c’è un serial killer, che chiamano il Pescatore a Strascico, e che commette crimini orribili. E Bret ha la sensazione, viva e spaventosa, che il mostro sia il nuovo arrivato.
– Proteggerci a vicenda? – chiesi. – E da cosa?
– Dalla realtà
La partita, nel romanzo di Ellis, si gioca sul campo del vero e del falso. Non è l’abusata questione della superficialità contrapposta alla profondità, alla verità delle cose, ma è qualcosa di più sottile e che riguarda, perlopiù, la narrazione. O meglio, le narrazioni. Bret, Thom, Susan, Debbie, Robert stesso, ciascuno ha una sua narrazione che a volte si incontra con quelle degli altri, a volte le respinge, invece, ma il punto è che tutto funziona finché le storie si somigliano. Quando cominciano a collidere, a essere troppo distanti, ecco la deflagrazione di un mondo. Bret è l’unico capace di vedere che le sue sono narrazioni – il suo mantra è «Senti cose che non ci sono. È questo che fa uno scrittore» –, ma non è capace di uscirne. Sa che dovrebbe raccontare a Susan di essere omosessuale, perché è la sua migliore amica, ma questo si scontra con l’immagine di un altoborghese di una buona famiglia californiana. Sa che non dovrebbe cedere alle lusinghe degli uomini più grandi che fanno grandi promesse, ma la storia dello scrittore disposto a tutto pur di sfondare glielo impedisce.
E sa che quello verso Robert Mallory è un sentire paranoico, infondato, eppure così forte e coerente: impossibile non cedergli. Perché le buone storie fanno così, danno senso alle cose che ci circondano, e questo ci rassicura. Ma hanno anche una viscosità che, per quanti sforzi facciamo, ci trattiene nelle loro maglie, rendendoci mosche appiccicate alla carta insetticida. Storie splendide e letali, esattamente come Le schegge di Ellis, insomma.
E me ne rimasi lì nella luce del pomeriggio che sbiadiva, rendendomi conto, a diciassette anni, che stavo già guardando nel mio passato – e che il passato aveva un significato capace di definirti per sempre
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