Tutti volevano una pagina, un logo, una veste grafica. Tutti volevano un po’ di bellezza, intesa come una posizione unica in un sistema di differenze. Anna e Tom capivano questo bisogno in modo istintivo
Anna e Tom sono due creativi. Si definiscono così perché non si riconoscono nelle etichette di web developer o graphic designer, «quello che creavano erano differenze». Anna e Tom sono anche, in senso ironico o dispregiativo, expat, coloro che si stabiliscono temporaneamente o definitivamente all’estero per motivi di lavoro.
La loro vita è perfetta. Nelle fotografie su Instagram, nel conto in banca e nell’organizzazione dell’agenda.
Poi i quartieri di Berlino cominciano a venire riqualificati, i vecchi amici a tornare in Italia e i nuovi a venire dagli Stati Uniti. Allora ha inizio la ricerca; nelle uscite che cominciano la sera e finiscono il mezzogiorno seguente, le mostre d’arte, i sex-club. I commenti progressisti su Facebook si concretizzano nel volontariato nei centri d’accoglienza. Cominciano a viaggiare.
La vita di Anna e Tom appare perfetta, ma è davvero così o è solo apparenza? L'ossessione per ciò che è bello ed estetico può essere così pervasiva da colpire le esistenze stesse delle persone? A quanto pare sì, e per uscire da questa trappola per i due protagonisti comincerà una dura e faticosa ricerca.
Erano immagini di una vita libera ed entusiasmante. Erano anche le immagini con più like, e quelle che più di frequente ne accumulavano anche mesi dopo la pubblicazione. Doveva essere l’indicazione di qualcosa, un segnale. Immancabilmente concludevano che dovevano riprovarci
Lungo tutta la narrazione appare evidente che la vita dei due protagonisti è guidata dal timore delle aspettative: quelle dei genitori, delle quali non potranno mai essere all’altezza; quelle verso loro stessi, riversate nell’impegno sociale; ma soprattutto quelle che la società nutre nei loro confronti. Sono queste all’origine dell’insoddisfazione, dal momento che all’interno di una vita perfetta si perde il diritto all’infelicità.
In questi casi l’errore è l’ostinata opposizione al cambiamento. La forza è il rimanere uniti nelle difficoltà; inconsciamente consapevoli che, pur ignorando la soluzione, l’origine del problema è da cercarsi nell’animo dei singoli.
Il caso – ma non si tratterà precisamente di un caso – verrà in loro soccorso
Vincenzo Latronico ci racconta la storia di due giovani che è anche la storia della società moderna, e lo fa in una narrazione diretta e onesta, con la chiarezza di chi conosce in prima persona l’argomento. Il linguaggio, a tratti onirico, rimane scorrevole e coinvolgente, in uno stile che guida efficacemente il lettore tra le vicende più intime.
Il risultato è un romanzo breve in grado di parlare a un’intera generazione.
Recensione di Federica Bettini
Vite infelici, alienazione, vizi dei millennial. Le recensioni di Le perfezioni (Bompiani), l’ultimo romanzo di Vincenzo Latronico, sembrano suggerire che il libro sia una denuncia impietosa della società dell’immagine. Con uno spirito simile era stato d’altronde accolto Le cose di Perec, il testo che Latronico esplicitamente omaggia e aggiorna, visto all’epoca come un «documento» sociologico di condanna della società consumistica. In entrambi i casi, il rischio è di rinunciare troppo presto all’ambiguità e allo spessore del testo letterario.
Le perfezioni non è il ritratto moralistico di una generazione. Al contrario, si fonda strutturalmente su una certa ambivalenza: verso i suoi protagonisti, verso i loro luoghi, verso le immagini. È la storia di Anna e Tom, una coppia di designer tra i venti e i trent’anni emigrati a Berlino. Hanno un buon lavoro, una casa ben arredata. Potrebbero venire da uno qualsiasi dei Paesi semiperiferici dell’Europa del sud, vista come una cappa stantia. Seguono la cultura americana, frequentano mostre d’arte contemporanea, mangiano piatti instagrammabili su tavole di ardesia. Inevitabilmente, finiscono col sentirsi in trappola.
Il libro vuole raccontarne la storia più che giudicarli. Latronico ne rende manifesti l’inadeguatezza e l’autoinganno senza però mai condannarli. In Tom e Anna mette qualcosa di sé, guardarli è un modo per interrogarsi. Chi legge non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione che quello sguardo in qualche modo lo coinvolga.
Anna e Tom sono infatti un formidabile strumento di identificazione, rispetto al quale prendere del tutto le distanze è impossibile. Cosa notevole, tutto questo avviene nonostante una caratterizzazione molto stilizzata. Lasciare i personaggi indeterminati dà una tensione letteraria particolare al romanzo, che si sottrae a un’empatia a buon mercato per restituire invece, come in uno specchio, qualcosa del nostro rapporto con il tempo in cui viviamo.
Il libro prende di petto i temi delle immagini, dei social e dell’economia della rappresentazione di sé. Anna e Tom vivono due vite: una nella realtà tangibile, una nelle immagini. Queste ultime si succedono come facendo «zapping su una parete intera di televisori sintonizzati su canali diversi», sono cacofoniche e ingovernabili, invadono intere giornate. All’iniziale eterogeneità si sostituisce progressivamente un diluvio di bellezza: foreste innevate, appartamenti ariosi dall’arredamento minimal, abiti vintage, elementi senza un filo logico ma legati dallo splendore. L’immagine di bellezza vuole però farsi realtà, e Anna e Tom la inseguono come possono. Si ritrovano a scenografare le loro stesse vite e a lottare con il senso di impostura determinato dalla distanza tra quelle perfezioni e la loro realtà. Il libro riesce a parlare di desiderio e di frustrazione senza scadere nella buona morale.
L’acutezza dell’analisi è confermata dalle pagine su Berlino, che da spazio delle possibilità si fa rapidamente il luogo di una gentrificazione rapida e inesorabile. Se il mito di Berlino come alternativa esistenziale è ancora vivo in Niente di vero di Veronica Raimo, qui si affaccia la città dove è diventato impossibile affittare un appartamento, dove agli amici di un tempo si sostituiscono sviluppatori ben pagati, dove a dire «Berlin rocks» è soprattutto Elon Musk.
Per un contenuto così impegnativo serviva anche del coraggio stilistico, e Latronico l’ha trovato. Gli elenchi riproducono non solo un desiderio incapace di darsi una forma, ma anche il succedersi incessante di immagini sugli schermi. Le descrizioni sono sempre ricche e precise. L’uso dei tempi verbali riesce a omaggiare Perec e a risultare comunque originale. Se Le cose si apriva al condizionale a suggerire il bovarismo dei protagonisti, in Le perfezioni è il presente delle foto a imporre la realtà delle perfezioni virtuali. L’imperfetto di Perec rimarcava la distanza da Jérôme e Sylvie, quello di Latronico restituisce obiettività. Il passato remoto gli serve a parlare del lavoro da remoto, il futuro a confezionare un finale felicemente ironico.
Le perfezioni di Vincenzo Latronico è la prova che, anche in letteratura, un remix può diventare a suo modo nuovo e cogliere in maniera esemplare lo spirito del tempo.
Recensione di Marco Bebervanzo
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