"Tutto viene dal nulla e nel nulla ritorna": siamo tutti sulla stessa barca, un'enorme, anonima e rassicurante nave da crociera, un ambiente lussuoso e ovattato dove tutto è organizzato nei minimi dettagli, la giornata è scandita da ritmi regolari, da occasioni di divertimento, di socialità, di regole da seguire per avere pienezza e senso di appagamento, dondolati dal ritmo delle onde, dalla vista del mare tutto attorno, annichilente, familiare e sorprendente come una malattia o uno starnuto, e dalla musica di sottofondo, dall'alternarsi di sole e luna fuori dall'oblò, rassicurati dall'apatia conturbante dell'ordinario. Un viaggio, o meglio, un'odissea, ovvero una traversata per mare verso un rientro a casa, un viaggio di riscoperta e ritorno a un noi stessi più maturi e consapevoli, il raggiungimento di un livello superiore e più completo dopo un programma di crescita e superamento di prove necessarie che tendono a esplorare i propri limiti e spingersi oltre. Ma dov'è questo limite? Qual è il traguardo che fa capire che la meta è stata raggiunta? E ci sarà un premio per avere oltrepassato l'obiettivo?
È questa l'esperienza personale e introspettiva, raccontata in prima persona, della protagonista de La crociera (Blackie) di Lara Williams, il cui titolo in originale è proprio The Odyssey, un percorso organizzato e gestito dal capitano della nave nonché guru e maestro di cerimonie, in cui lo scopo è prepararsi e trovarsi pronta ad essere la sua versione migliore.
Ingrid lavora su una gigantesca nave da crociera. Nei momenti liberi sbarca dalla nave e si perde nei bar locali, tra alcol, incontri ambigui e situazioni al limite del pericolo. Non è una brutta vita. Soprattutto, la distrae dal pensare a un’altra esistenza, quella che si è lasciata alle spalle cinque anni prima.
Ingrid lavora nella WA da cinque anni, periodicamente cambia la mansione a cui viene affidata e che lei accetta serenamente trovando rassicurante lo svolgersi ripetitivo dei compiti assegnati, giocando alla famiglia con due colleghi nel tempo libero, e seguendo alla lettera la routine in cui è inserita, apparentemente priva di emozioni e sentimenti. Tutto cambia nelle occasioni in cui ha la sua libera uscita e sbarca sulla terraferma, dove abbandona la sua rigidità e compostezza e si abbandona a vari eccessi, dedicandosi soprattutto al bere e allo shopping compulsivo, diventando fastidiosa e senza freni, irrequieta e incontenibile. Questo forse anche per non pensare a cosa si è lasciata dietro, la vita alle sue spalle, il matrimonio, il marito, un'esistenza in cui non trovava una giusta collocazione o giustificazione:
Provai ad aggrapparmi alla sensazione di essere ubriaca. Alla sensazione che la vita mi scorresse intorno, per caso. Che io non c'entrassi niente
Dopo il fortunato Le divoratrici (Blackie), Lara Williams ha scritto un altro romanzo che mette crudelmente a nudo le nostre finte speranze di credere in qualcosa e pensare di ottenere in cambio una gratificazione, un riconoscimento, il vuoto su cui spesso sono costruiti gli affetti ("Non sapevo mai se gli volevo davvero bene o se mi faceva pena. Avevo sempre avuto problemi a distinguere la pietà dall'amore"), la solitudine delle scelte sbagliate e la loro casualità, un nichilismo inconsapevole; anche qui sono spiattellati con cinismo corpi nella loro vulnerabilità, comportamenti, istinti ed elementi che rifiutiamo, che provocano disgusto, che celiamo facendo finta che non esistano. Nel libro precedente, definito in maniera efficace dal The Guardian "un Fight Club femminista", era la fame, una bulimia di cibo ed emozioni che veniva raccontata, mentre qui è l'apparente normalità di una donna che potrebbe essere una nostra collega, una vicina di casa ad essere indagata in modo surreale e senza filtri, lo stress insopportabile di avere tutto sotto controllo, con indifferenza verso la sofferenza e ferocia verso la quotidianità.
Va da sé che, in caso la nave affondi, non ci sono salvagenti per salvarsi: tutto viene dal nulla e nel nulla ritorna.
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