Chi è appassionato di età dei Lumi sa bene che l’aneddotica buffa è un succoso ingrediente nel ricettario storiografico. Il diciottesimo secolo è rinomato per l’eccentricità dei suoi protagonisti - si pensi al rapporto burrascoso di re Luigi XVI con i gatti - e pochi storici, persino i più sostenuti, hanno resistito alla tentazione di citare qualche avvenimento bizzarro per accattivarsi il lettore.
D’altronde, come il successo di Barbero esemplifica egregiamente, la divulgazione storica funziona quando è accompagnata da speziati fun facts che si imprimono nella mente della platea.
Il saggio di Mazzarello segue questa piacevole tendenza, mettendo al centro della narrazione il rapporto da commedia goldoniana tra l’illustre naturalista Spallanzani e i rancorosi colleghi dell’Università di Pavia, tra cui spicca il biologo Scopoli, il personaggio a cui tocca, suo malgrado, il ruolo più farsesco.
Lungi dall’essere solo un compendio di fatti bizzarri, l’opera in prima istanza celebra il pensiero di Spallanzani, un esponente di primordine dell’età dei Lumi, a cui dobbiamo, tra i tanti risultati, la confutazione della teoria della generazione spontanea, ipotesi secondo cui la vita poteva generarsi anche dalla materia inanimata. Molte pagine sono dedicate alle scoperte scientifiche e alle diatribe metodologiche del periodo, come per esempio quella che vide scontrarsi i discepoli del rigido sistema classificatorio di Linneo e chi invece, come Spallanzani, ricercava un approccio più fluido e interdisciplinare, anticipando i tempi.
Paolo Mazzarello allestisce una formidabile impalcatura di fonti, restituendo con uno stile garbato e ironico l'esuberante atmosfera del secolo dei Lumi. Un viaggio nella cultura scientifica dell'Italia del Settecento fra sfide della scienza e congiure di potere.
Dando priorità al dato sperimentale per porlo al di sopra di ogni altra valutazione, tra cui quella religiosa, Spallanzani fu un pioniere dell’applicazione tout court del metodo scientifico, e ciò sorprende se si considera che lo scienziato era anche un abate, una contraddizione assurda al nostro occhio moderno, ma in realtà molto comune ai tempi.
Fu proprio l’attenzione al metodo a causare dei grattacapi al naturalista. Da sempre più interessato all’osservazione diretta dei fenomeni naturali che allo sterile cogitare sui libri, Spallanzani riuscì nel 1785 a farsi finanziare un soggiorno a Costantinopoli per lo studio della fauna locale, un’esperienza che lo tenne a lungo lontano dai prestigiosi scranni dell’Università di Pavia.
Tre insegnanti, invidiosi del successo e del peso accademico di Spallanzani, approfittarono del prolungato soggiorno turco per ordire una congiura che potesse danneggiare la reputazione dell’illustre collega. Da tempo Scopoli popolava in un’aula dell’ateneo una sorta di wunderkammer dove raccoglieva esemplari che spesso sparivano dall’inventario. I tre si industriarono per far ricadere la colpa su Spallanzani, costruendo un caso dagli esiti tragicomici, sul cui verdetto dovette pronunciarsi nientemeno che l’imperatore Giuseppe II d’Austria e di cui vi risparmiamo la conclusione per non rovinarvi la lettura.
Mazzarello ricostruisce l’affaire Spallanzani sovrapponendo generi che spesso lambiscono la narrativa. L’autore stesso definisce la propria opera un “saggio narrativo”, in cui la prima parte è dominata dalla letteratura di viaggio, con il lungo racconto dell’esotica spedizione a Costantinopoli, mentre gli ultimi capitoli sono dedicati alla cronaca giudiziaria e alla contestazione della congiura fantozziana.
Sommando questi espedienti stilistici alla fine si ottiene un ottimo testo di storia della scienza, preziosissimo per chi volesse documentarsi sull’evoluzione del pensiero scientifico tramite un caso che esemplifica l’eterno ritorno delle miserie umane.
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