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Il segreto di Amrit Kaur di Livia Manera Sambuy

In questi mesi in cui abbiamo visto le donne iraniane schierarsi in prima linea, coinvolte in quella che sta diventando una vera e propria rivoluzione, mi sembra davvero che la storia di Amrit Kaur valga la pena di essere letta e diffusa.

La principessa indiana, personaggio realmente vissuto, nata all’inizio del secolo scorso nel Punjab in una famiglia di maharaja, è una vera e propria pioniera, paladina dei diritti delle donne.

Lascia la sua reggia, gli agi e i privilegi della sua casta e si libera dai vincoli di sudditanza nei confronti del marito, spingendosi oltre, fino ad abbandonare i suoi figli.

Una mattina il mio Munshi venne a dirmi che una sati, vale a dire una vedova destinata immolarsi sulla pira del marito, stava per passare davanti al mio giardino. Mi affrettai per riuscire a vederla. Era vestita in modo sgargiante, seguita da una gran quantità di persone mentre avanzava con passo affrettato e incerto, come di chi sta per svenire

Il segreto di Amrit Kaur
Il segreto di Amrit Kaur Di Livia Manera Sambuy;

A pochi giorni dal funerale del fratello, Livia si ritrova in un museo di Mumbai, davanti all'immagine di una giovane donna avvolta in "un sari impalpabile e traslucido", una principessa indiana. È vero, come legge nella didascalia che accompagna lo scatto, che la principessa ha venduto i suoi gioielli per salvare vite di ebrei?

Studia in Inghilterra e si trasferisce in Francia, e proprio a Parigi accade l’episodio che farà nascere nell’autrice la curiosità e il desiderio di indagare sulla vita di questa donna.

Livia Manera Sambuy “incontra” per la prima volta Amrit in un museo a Bombay, si imbatte in un suo ritratto fotografico e, leggendone la didascalia, scopre che è stata arrestata dalla Gestapo e internata in un campo di prigionia con l’accusa di aver venduto i suoi preziosi gioielli per aiutare alcuni amici ebrei a fuggire.

Le ricerche per il libro hanno portato Livia in giro per il mondo fino a Pune (India occidentale) dove ha incontrato Bubbles, la figlia ottantenne della principessa che poco o nulla sapeva della vita della madre, partita per la Francia quando lei era molto piccola, e che non aveva conservato alcun ricordo, ma solo dolorose domande rimaste senza risposta per tanti anni.

Amrit era diventata argomento tabù nella sua famiglia, era stata “cancellata” dopo la sua fuga e la sua figura aveva subito una sorta di damnatio memoriae.

Accompagnando la scrittrice sulle tracce della protagonista e sbrogliando la matassa dei misteri che hanno avvolto la sua esistenza per fare emergere la verità, ci ritroviamo a spiare la vita quotidiana dei sontuosi palazzi dei maharaja, a partecipare ai fermenti culturali della Parigi degli anni '30, e poi ancora a viaggiare tra Francia, Inghilterra e California, incrociando le curiose vicende di spie, esploratori, commercianti di gioielli, ambasciatori e artisti.

Tutti i personaggi sono reali e di alcuni è possibile addirittura osservare i volti grazie al prezioso album fotografico in bianco e nero presente alla fine del romanzo.

Vi sono anche alcune foto di quei gioielli, capolavori adorni di pietre preziose, perle e giganteschi diamanti commissionati a gioiellieri del calibro di Cartier e Van Cleef, anch’essi protagonisti delle vicende raccontate.

Così avevo scoperto che nel luglio del 1931 Amrit Kaur aveva comprato da Cartier una vanity case “egiziana”: un porta cipria e rossetto di smalto nero con un bordo sottile di diamanti e, al centro, la figura della dea Maat di profilo, disegnata da una piccola colata di brillanti

Il Mistero di Amrit Kaur (Feltrinelli) è un romanzo che attraversa diversi momenti salienti della storia dell’India, dell’Europa e degli Stati Uniti, passando da inizio '900 attraverso le due guerre mondiali fino ai nostri giorni.                                

Si può leggere con lo stesso interesse che suscita un romanzo storico o divorandolo con l’impazienza di arrivare alla fine come quando si scorrono le pagine di un giallo, ma l’aspetto più interessante per me è stato quello della densità umana delle donne di questa storia, compresa l’autrice.

Per ognuna delle protagoniste, custode delle proprie ferite, tormentata da tristi interrogativi ma allo stesso tempo tenace guerriera, queste straordinarie pagine possono considerarsi un prodigioso balsamo per l’anima.

Penso che ora sembrerebbe strano se, dopo aver portato il lettore in giro per il mondo, avanzassi l’ipotesi di aver dedicato tutti questi anni a fare per Bubbles e Amrit Kaur quello che non sono riuscita a fare per me e mia madre. Mia madre che in questa storia ho nominato solo di passaggio.

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Prima Effe. Feltrinelli per la scuola propone l’incontro con gli scrittori per trasformare la lettura in un’esperienza indimenticabile, per avvicinare gli studenti ai grandi temi dell’attualità offrendo la possibilità di confrontarsi con chi quelle storie le ha scritte. Un viaggio straordinario e a portata di mano, nel mondo e in se stessi. Per organizzare un incontro scrivi a mailto:info@primaeffe.it

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Livia Manera Sambuy è una giornalista letteraria che scrive sul “Corriere della Sera”. Ha realizzato due film documentari su Philip Roth. Ha vissuto tra Milano e New York, vive tra Parigi e la Toscana. Philip Roth. Una storia americana è stato pubblicato da Feltrinelli nella collana di dvd “Real Cinema” nel 2013. Ancora per Feltrinelli, Non scrivere di me (2015).

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