J. M. Coetzee, con Il Polacco (edito da Einaudi), ci consegna una storia breve ma potente che in sole 128 pagine sonda l’animo complesso di un uomo toccandone le corde più profonde, che vibrano al ritmo del suo pianoforte e dell’amore per una donna tanto bella quanto lontana.
Punteggiata di ironia, questa breve storia di amore e differenze coinvolge la poesia, la musica, il linguaggio, il trasporto – quello dei sentimenti e quello indotto da Chopin – e la sua traduzione in parole, e offre un inconsueto ribaltamento del punto di vista, dando voce al «provvido scetticismo» di una moderna Beatrice.
Lui ha circa settant’anni, è un pianista affermato e austero che con le sue interpretazioni degli spartiti di Chopin ha aperto una nuova strada nel mondo concertistico. Il suo nome impronunciabile, Witold Walczykiewicz, sembra rispecchiare perfettamente il suo profilo spigoloso e arcigno.
Viene chiamato «Il Polacco» ed è noto per la sua maestria al pianoforte. Agli occhi di Beatriz però, giovane donne sposata dal portamento elegante e maestoso, è solo uno straniero che dovrà ascoltare controvoglia.
Se dopo la sua esecuzione il Polacco desidera rinchiudersi in uno scontroso silenzio, lei farà subito la stessa cosa
Di un concerto deludente rimangono sulla pelle della donna le emozioni non provate, lenite da un interesse sottile per questo pianista che si dimostra così attento a lei durante la cena che segue l’esibizione. Eppure, tolta la sua maestria al pianoforte, Beatriz non vede altro che un corpo senza vita, smunto e privo di fervore.
Tutto sembra esaurirsi in una notte, che torna a vivere mesi dopo, quando Il Polacco manda alla donna la prima mail, rivelando di essere tornato a Barcellona solo per lei. Beatriz non ha tempo per queste cose, per uno spasimante compulsivo e giocoliere di parole ammalianti, soprattutto se sembra vivere con i piedi per aria e che scriverà più di ottanta poesie per una musa che rifiuta questo ruolo.
Apparteniamo a mondi diversi, a regni diversi. Tu appartieni a un mondo col tuo Dante e la tua Beatrice, io a un altro, che sono abituata a chiamare il mondo reale
Quella notte è stata vissuta da ognuno diversamente.
Per lui ha rappresentato il coronamento della sua passione ardente, ora finalmente resa concreta da quel letto che hanno condiviso e che ha alimentato ideali destinati a rimanere tali. Per Beatriz è stata una concessione a cuor leggero, spinta dalle sensazioni del momento, senza il peso di prospettive future ad attenderla.
Si dovrebbe sentire in colpa. Non si dovrebbe andare a letto con un uomo che non si desidera. Ma lei non si sente in colpa. «Io do abbastanza, – si dice. – E non è per sempre»
Con una narrazione che sembra procedere per frammenti rafforzando ancor più il ritmo compulsivo di una storia multiprospettica, Il Polacco ci regala due esperienze diverse, raccontate da occhi mai così distanti e portavoce della libertà di vivere i sentimenti a proprio modo, senza moralismi.
Per qualcuno può essere un amore intenso, per qualcun altro solo un momento fugace. L’importante forse è che due strade diverse si siano incrociate, anche se per poco.
Quello che rimane è un racconto unico e personale, ma questa è un’altra storia che solo in parte ci è dato conoscere.
Nei giorni che precedono il suo volo di ritorno a Barcellona lei ha il tempo per riordinare i ricordi e decidere la storia che si racconterà, la storia che diventerà la sua storia. […] Se si guarda nel cuore non trova residui oscuri: nessun rammarico, né pena, né desiderio; niente che possa turbare il suo futuro.
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