In occasione della nostra intervista di qualche mese fa, che potete leggere qui, abbiamo definito Antonio Manzini un uomo “quietamente tormentato” per le stimolanti contraddizioni emerse durante la nostra chiacchierata: in primis quella tra la voglia di scoprire tutto di lui e, allo stesso tempo, la sensazione di conoscerlo da una vita.
Ed è così che tra una chiacchiera e l’altra sul suo romanzo Le ossa parlano, ultimo giallo con protagonista l’amatissimo Rocco Schiavone, è venuto fuori un consiglio di lettura che, quanto a contraddizioni, ha decisamente qualcosa da dire.
Antonio Manzini, infatti, ha citato come suo libro CULT Il mercante di Venezia di William Shakespeare, spiegandoci come gli abbia insegnato a non fermarsi mai ad un’unica lettura ed interpretazione di un testo perché, spesso, andando più a fondo c’è molto altro da scoprire.
Non sempre quello che appare sul testo scritto è quello che tu capisci in prima battuta, ma devi rileggerlo per capirlo. Così scopri che l’autore ti regala altri mondi se tu sei aperto e sei pronto ad assorbirli.
A me questa lezione, all'inizio, l’ha data Shakespeare
Il mercante di Venezia è una delle opere più controverse di Shakespeare a partire già dalla sua collocazione di genere. Di norma viene annoverata tra le commedie, ma i suoi toni sono spesso cupi e maggiormente assimilabili a quelli delle tragedie. Tuttavia, non essendoci spargimenti di sangue, avendo passaggi a tratti decisamente frivoli e stucchevoli e terminando con quello che vuole essere un lieto fine, è stata sempre definita una commedia.
Tuttavia, nella figura dell’ebreo Shylock, vero protagonista dell’opera, è insita tutta l’ambiguità che la caratterizza.
Due luoghi opposti e speculari: Venezia, regno della realtà, del giorno, delle certezze; e Belmont, regno dell'illusione, della notte, dei mutamenti. Dominata dagli antagonisti Shylock e Portia, Il mercante di Venezia culmina nella scena del processo, in cui Shylock rivendica «una libbra della bella carne» del mercante Antonio per compiere la sua vendetta, e Portia, in veste di giudice, annienta Shylock.
Il personaggio di Shylock, infatti, è stato al centro di un dibattito tra gli studiosi per stabilire se la commedia potesse essere tacciata di antisemitismo o, diversamente, rivelasse un certo grado di tolleranza verso gli ebrei per lo meno da un punto di vista strettamente religioso. Perché Shylock è sì dipinto come un usuraio, avido e pieno di odio e risentimento, stereotipo alquanto diffuso ai tempi di Shakespeare, ma è pur vero che l’autore gli dà le battute migliori, più pregne di significato, e un monologo famosissimo che è un vero manifesto di uguaglianza tra gli uomini, a prescindere dal loro credo religioso. Leggiamo un estratto dall'Atto terzo, Scena I, parla Shylock:
“M’ha sempre maltrattato come un cane
(...) E ciò perché? Perché sono giudeo.
Non ha occhi un giudeo?
Un giudeo non ha mani, organi, membra,
sensi, affetti, passioni,
non s’alimenta dello stesso cibo,
non si ferisce con le stesse armi,
non è soggetto agli stessi malanni,
curato con le stesse medicine,
estate e inverno non son caldi e freddi
per un giudeo come per un cristiano?
Se ci pungete, non facciamo sangue?
Non moriamo se voi ci avvelenate?
Dunque, se ci offendete e maltrattate,
non dovremmo pensare a vendicarci?
Se siamo uguali a voi per tutto il resto,
vogliamo assomigliarvi pure in questo!
Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo,
qual è la sua virtù di tolleranza?
L’immediata vendetta! Onde un ebreo,
nel sentirsi oltraggiato da un cristiano,
come può dimostrarsi tollerante
se non, sul suo esempio, vendicandosi?
Io non faccio che mettere a profitto
la villania che m’insegnate voi;
e sarà ben difficile per me
rimanere al disotto dei maestri.”
Nel momento in cui Shakespeare fa rivendicare a Shylock la sua uguaglianza, ci sentiamo di dire che la sua opinione a riguardo è chiara e non lo si possa tacciare di antisemitismo.
Inoltre, analizzando alcune battute che Shakespeare gli affida, ci resta la sensazione che non lo consideri un villain a tutto tondo. Alla fine della commedia Shylock viene sconfitto e umiliato a causa della sua avidità e ostinazione che, nella richiesta della libbra di carne rivela una crudeltà miope, frutto di un odio che gli ribolle dentro. Ma se riusciamo ad andare oltre l’iniziale ripugnanza nei suoi confronti e guardiamo al trattamento che gli riservano gli altri personaggi, assolutamente privi di qualsiasi qualità cristiana di cui tanto si ammantano, un tale risentimento è tutto sommato comprensibile, benché non del tutto giustificabile.
Quindi ci troviamo d'accordo con Antonio Manzini nel vedere in questa commedia shakespeariana molto più di quanto appare in superficie, lieti di poter assaporare in modo maggiormente consapevole la doppia anima di quest'opera senza tempo, che la profondità di Shylock rende un dramma alla stregua delle grandi tragedie shakespeariane.
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