La speranza di per sé non esiste, come all’inizio non esistevano strade sulla terra, la strada esiste quando molte persone fanno lo stesso cammino
«La speranza di per sé non esiste, come all’inizio non esistevano strade sulla terra, la strada esiste quando molte persone fanno lo stesso cammino» scrive Lu Xun ne “Il paese natale”, ottavo racconto delle sue quattordici Grida, edite da Sellerio. L’autore, nato a Shaoxing, narra della tradizione obsoleta: l’impero cinese al tramonto, incastonato nella modernità illusoria, la rivoluzione che non sorge. Le sue parole catapultano nella comune appartenenza alla natura umana, catapultano nel passionale destino che ci vede tutti legati: vittima, oppressore, progressista sono indistinguibili.
Dal padre della letteratura cinese moderna il primo dei tre volumi dell'edizione completa dei suoi racconti, in una nuova traduzione originale.
Ci troviamo nel cielo blu scuro del primo ventennio del Novecento cinese, Lu Xun ha fatto irrompere il racconto della ferocia rurale, di locande disgraziate, nella letteratura che conosceva solo la poesia e le classificazioni degli esami imperiali. Lo scrittore è stato una guida fondamentale perché in ogni epoca, in ogni luogo, le fasi più complesse da esplorare sono le transizioni. Durante il cammino ci si può fidare solo di una narrazione solida come quella di Grida. «Chi voleva aver salvo il codino perdeva la testa, chi voleva aver salva la testa perdeva il codino» scrive Lu Xun nella “Tempesta passeggera”. I movimenti politico-culturali del 1919 si sono rivelati una delusione nella vita del letterato, così come, in precedenza, la medicina. La difficoltà di appartenenza alla società si respira in tutti i racconti di Lu Xun, autore dalle diverse dimensioni, che ha intrapreso anche studi occidentali. Quale miglior modo di venire a capo delle delusioni se non gridare e rappresentare, con la lucida voce del pazzo, un mondo di cannibali che si credono dottori? «Più sono coraggioso, più loro vogliono mangiarmi per beneficiare un po’ del mio coraggio» dice l’uomo che soffre di manie di persecuzione nel “Diario di un pazzo”. Racconto esemplare, diamante della solitudine.
Leggere Grida oggi, nella traduzione molto curata di Nicoletta Pesaro, alle prese con la lingua riformista, è trovare un guerriero di tutte le culture: un «falso diavolo straniero» si dice ne “La vera storia di Ah Q”. Quante insidie nascondono le parole: verità, libertà. Lu Xun scrive del femminile: «Che restino a casa, si sposino, facciano le nuore. La felicità è dimenticare tutto. Se mantengono vivo il ricordo dei discorsi su libertà ed emancipazione soffriranno tutta la vita»: uno sguardo lungo e tagliente in “Storie di capelli”.
Grida è evergreen, non è classico, non è moderno, si tratta di uno sguardo sui dettagli della vita, come quello del racconto “Un fatto da nulla”, in cui il protagonista si vergogna di sé stesso. Ci vuole un’anima speranzosa per gridare, con stile, la propria crudeltà.
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