Ti sembriamo ingenui? Be’, ti sbagli. Né ingenui né pazzi. […] Qualcosa faremo, qualcosa di simbolico, per provare. Allora si vedrà. Siamo soli? Non siamo soli?
Figli della favola (Guanda) racconta una gioventù senza prospettive, persa e abbondonata che non può sostenere il peso che grava su di sé, che finisce con l’essere inghiottita dalla ricerca di un’appartenenza che gli fornirà solo i mezzi per sopravvivere e mai per vivere.
Due ragazzi ventenni, abbandonati dalla società e dalla patria, credono di avere in mano la soluzione per l’indipendenza del popolo basco. Ma quando si dichiarano pronti a combattere, l’organizzazione politico-militare di cui fanno parte, l’ETA, depone le armi. Il sogno di ritornare alla lotta armata e alla guerriglia si scontra con l’evidenza di una realtà squallida: Ansier e Joseba, protagonisti del nuovo romanzo di Aramburu, vengono abbandonati come rifugiati senza alternative.
Asier e Joseba sono due giovani baschi che, imbevuti di ideologia nazionalista, decidono di lasciare tutto per entrare nell’ETA. Proprio quando si sentono pronti all’azione l’ETA annuncia in tv la fine della lotta armata e lo scioglimento delle cellule. Che fare?
Aramburu descrive la loro sopravvivenza e il loro rapporto con uno stile schietto e un’ironia cruda che evidenziano la drammaticità della loro condizione e degli ideali di rivolta che vengono rinchiusi e costretti tra mura fredde e solitarie. I due protagonisti si fanno portatori di due visioni del mondo molto differenti: Ansier, più rude e solitario, vede nella lotta armata lo strumento di rivalsa nei confronti di una vita che percepisce sprecata; Joseba è combattuto fra la volontà di tornare dalla famiglia e la necessità di sentirsi parte di qualcosa. Il punto nevralgico del romanzo è proprio la mancanza di una comunità e di una patria, da cui consegue l’impossibilità di trovare il proprio posto all’interno della società.
Al di fuori della lotta non c’è vita: questo è stato insegnato ad Ansier e Joseba, che ora infatti assistono apatici a giorni sempre uguali e senza senso tra solitudine, povertà e inebriamento ideologico.
Agire o non agire?
Il dilemma li affligge finché, mossi dalla volontà di ritrovare un senso alla loro esistenza, decidono di creare una propria organizzazione di rivolta, il “commando Tarn”. Come i giovani disillusi che provano a trovare un loro posto nel mondo, cercano di creare una personale indipendenza al di là di quella “forzata” che gli ha fornito l’ETA.
Uscendo dal rifugio, l’altrove è molto più ostile di quello che si ricordavano.
Nel loro viaggio verso Tolosa, Aramburu sottolinea ed evidenzia più volte la loro decontestualizzazione rispetto a tutto ciò che li circonda. Non sono accettati dalle persone che incontrano e sono spesso costretti a scappare da situazioni che li potrebbero mettere in pericolo. Arrivati a Tolosa riescono a trovare una loro momentanea appartenenza e coscienza di sé, tramite la nuova organizzazione GDG che resterà però solo con due membri anche se organizzata con aiuti esterni.
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