La nostra famiglia, insomma, è frutto di un casting senza immaginazione. Bellezza su tutta la linea
Quando si comincia un libro del ciclo dei Malaussène, soprattutto se uno degli ultimi, ancora più soprattutto se è l’ultimo, si deve mettere in conto che ci si troverà immersi in una grandiosa, affascinante e rocambolesca baraonda. Il che, non c’è che dire, destabilizza parecchio – anche se il buon vecchio Pennac ha provveduto a inserire un albero genealogico in apertura e un repertorio dei personaggi alla fine: anche lui, a un certo punto, dev’essersi trovato smarrito. In Capolinea Malaussène (Feltrinelli), però, forse le cose possono risultare più semplici, non foss’altro che la storia è quella lasciata a metà con il precedente Il caso Malaussène, con il quale questo forma un dittico che somiglia a un giallo o a una spy story o a nessuno dei due generi.
Era un’epoca incline agli incendi spontanei
Faccio appena un passo indietro per contestualizzare – non è facile scrivere, senza. Perciò, chi ha bene in mente cos’è successo prima può saltare questo paragrafo che tenterò brevissimo. I protagonisti sono i Malaussène, una famiglia ben più che numerosa, esplosa mi verrebbe da dire, piena di figli, nipoti, zii e via discorrendo. Per questo si dice di loro che siano più una tribù. Tuttavia Pennac, vuoi per una particolare vicinanza e affezione, sin dal Paradiso degli orchi, segue le avventure perlopiù di Benjamin, il primogenito, direttore editoriale delle Edizioni del Taglione.
Nel Caso Malaussène, uscito quasi vent’anni dopo il precedente, La passione secondo Thérèse, i tre cugini Maracuja, È Un Angelo e Sigma rapivano un notabile parigino, Georges Lapietà, che aveva guadagnato una cospicua somma di denaro dal licenziamento di tutti i dipendenti di un’azienda di acqua potabile. Sebbene la loro fosse una performance artistica (curiosa, ma senz’altro efficace), le cose si complicano quando vengono smascherati: Georges Lapietà e figlio, Iuc, fidanzato di Maracuja, vengono rapiti sul serio dalla banda del crudele Nonnino. Ecco qui, fine del riassunto delle puntate precedenti.
Ci sono i disastri, pensava Titus, e ci sono i disastri assoluti
La faccenda riprende proprio dal momento in cui Nonnino – un uomo distinto, gentile, ben educato, che ha formato una generazione di malviventi che stupiscono per un aplomb invidiabile – rimprovera uno dei suoi sgherri, il giovane Marcel Kebir, perché ha lasciato una pistola sul luogo del rapimento (e del delitto in generale). Sin da subito, quindi, ci rendiamo conto della pluralità del romanzo che ci apprestiamo a leggere. Una pluralità che si declina in tanti punti di vista, in tante voci e in tanti registri. Qui, per esempio, sebbene serpeggi sempre l’ironia propria di Pennac, l’autore piega il tono su quello cupo e psicotico dei criminali, di quei gangster potenti e senza scrupoli.
Poi, va da sé, arrivano Ben, Thérèse, Mara, Julius il cane, Jérémy e tutta la tribù a ricordarci di ridere, a farci tirare un sospiro di sollievo. Quest’alternanza, si diceva, può a tutta prima creare un po’ di confusione. Ma presto ci si rende conto sulla pagina c’è qualcosa che in pochi sono riusciti a rendere quanto Pennac: le cose vere, la realtà, insomma. Certo, mi si dirà, nel ciclo dei Malaussène c’è ben poco di reale, tra personaggi magici e situazioni al limite dell’insensatezza, ma non è questo che intendo. È la stratificazione di una realtà possibile, cioè ciò che si racconta potrà pure non essere mai accaduto, ma ha tutte le carte in regola per essere verosimile. Possibile, infatti.
Il coraggio è ascoltare il seguito. Sempre!
Perciò, mentre leggiamo che Nonnino taglia un orecchio al povero Iuc, o che Maracuja ha una voglia matta di ammazzare Alice, ma poi finisce con lei ad aggiustare una panchina perché i clochard abbiano un posto dove vivere, o che Benjamin fa di mestiere il capro espiatorio, noi lettori siamo in grado di dire: ma tutto questo ha perfettamente senso. Ed è, credo, uno dei grandi pregi di Pennac, riuscire a far sospendere l’incredulità a chi lo legge. Anche a chi lo fa per la prima volta, e si trova talmente coinvolto in questa confusione così vitale, così assurda, da non poter credere che sia tutto frutto di un’immaginazione.
In conclusione, gli elementi per essere un finale col botto ci sono, e sono inseriti al posto giusto, nel modo giusto. E anche se sappiamo che non può succedere niente di troppo brutto ai nostri beniamini, pagina dopo pagina ci rendiamo conto che, a conti fatti, non possiamo essere così sicuri che le cose vadano solo e sempre per il verso giusto. Voglio dire, nella storia c’è un uomo senza scrupoli che ha rapito il ragazzo di Maracuja e suo padre, vuole far saltare in aria tutti i Malaussène (hanno visto troppo) e ha una ghenga di scagnozzi devoti e armati. Anche se è un capolinea, può – in effetti – succedere di tutto.
Quella cazzo di bomba è scoppiata o no?
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