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Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson

Fin da piccola avevo preso l’abitudine di sotterrare le cose; ricordo che una volta divisi in quarti il campo e in ciascun quarto sotterrai qualcosa per far sì che l’erba crescesse più alta man mano che crescevo anch’io, così avrei potuto continuare a nascondermi. […] Avevo sotterrato uno a uno tutti i miei denti da latte man mano che cadevano, e forse un giorno da quei dentini sarebbero nati dei draghi

Chi da bambino non ha mai nascosto qualcosa? Un oggetto piccolo, insignificante, che però era il nostro personalissimo tesoro, custodito gelosamente in qualche posto improbabile, con la speranza che un giorno si sarebbe trasformato in qualcosa di meraviglioso. Poi siamo cresciuti, ce ne siamo dimenticati, e ci chiediamo cosa ci faccia una pigna dietro al bicchiere degli spazzolini.

Mary Katherine invece di anni ne ha diciotto, eppure continua a sotterrare pietre e nastrini, a perdersi nella sua immaginazione e a conversare vivacemente con il suo gatto Jonas: per lei e la sorella Constance il tempo sembra essersi fermato all’infanzia, a quel pranzo che è costato la vita a quasi tutta la loro famiglia.

Abbiamo sempre vissuto nel castello

È con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia.

La loro vita sembra scorrere placida leggendo, cucinando, curando l’orto e accudendo l’anziano zio Julian, ma la bolla di mite quotidianità rimane circoscritta entro i confini dell’antica villa di famiglia: un santuario che viene maniacalmente pulito dalle due ragazze, senza che nessun oggetto venga buttato o spostato. L’alto recinto che circonda il maniero separa l’abitazione dal resto del paese, dove Mary Katherine si reca di malavoglia due giorni a settimana per fare la spesa.

Il paese era tutto uguale, costruito nello stesso periodo e in un unico stile; sembrava che gli abitanti non potessero fare a meno di quella bruttezza, che se ne nutrissero

Anche i paesani sono squallidi come le loro case. Sicuri che Constance sia la colpevole dell’omicidio dei suoi parenti, temono le due ragazze e usano scherno e cattiveria come armi di difesa, celandoli dietro al perbenismo e a un’educazione fasulla.

"Constance si raccomandava sempre: «Fa’ come se non t’importasse nulla», «Se gli dai retta sarà solo peggio», e probabilmente era vero, ma io gli auguravo lo stesso di schiattare. Mi sarebbe piaciuto entrare lì dentro una mattina e vederli tutti quanti, compresi Elbert e i suoi figli, sdraiati a terra in lacrime, a morire di una morte atroce. Allora mi sarei servita da sola, calpestando i corpi, pensai, prendendo quello che mi pareva dagli scaffali, e poi me ne sarei tornata a casa, ma forse prima di uscire avrei mollato un calcio a Mrs. Donell. Non mi sentivo in colpa nemmeno un po’, ad avere di questi pensieri; speravo solo si avverassero.”

Niente fantasmi, nessun vampiro e nemmeno bagni di sangue, eppure la scrittura estremamente lucida dell’autrice, asciutta fino a essere tagliente, è capace di evocare in tutta la sua ferocia la mostruosità del normale. La Jackson costruisce infatti un romanzo di paranoia psicologica, dove siamo sempre tenuti sul filo di una tensione angosciosa, perché anche nei gesti minimi e quotidiani si percepisce costantemente la presenza del male.

Ad alterare il labile e sghembo equilibrio di quella famiglia sfilacciata è l’arrivo del cugino Charles, che si presenta con la volontà di aiutare Mary e Constance a superare l’antico trauma. Constance viene conquistata dalla nuova vita che le prospetta il cugino; Mary, invece, percepisce dietro quel faccione bonario e quei modi affettati una minaccia per il microcosmo costruito con la sorella e lo zio.

Possiamo aprirci con fiducia verso gli altri o dobbiamo costruire un solido guscio che ci protegga? Ma noi esseri umani, alla fine, nel nucleo più profondo del nostro animo siamo buoni o cattivi?

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Conosci l'autrice

Shirley Jackson è stata una scrittrice e giornalista statunitense, nota soprattutto per L'incubo di Hill House del 1959 e La lotteria. Ha esordito scrivendo per il prestigioso «The New Yorker» nel 1948. Nella sua carriera ha scritto anche opere per bambini, come Nine Magic Wishes, e persino un adattamento teatrale di Hansel e Gretel, The Bad Children. Muore per infarto nel 1965, forse a causa della terapia a base di psicoformaci che stava seguendo.

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