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Il DNA: la scoperta della sua funzione e della forma a elica

La doppia elica del DNA - 28 febbraio 1953
“Il segreto della vita”
Per decenni l’Eagle è stato il luogo di ritrovo degli scienziati del Cavendish Lab. È qui che, il 28 febbraio del 1953, Francis Crick e James Watson annunciarono per la prima volta di aver scoperto come il DNA porti con sé l’informazione genetica.

Queste parole campeggiano su una targa circolare dallo sfondo turchese appesa all’esterno del pub in questione, storico locale nel centro di Cambridge. La scena commemorata è tra le più celebri della scienza contemporanea.

I protagonisti sono due scienziati: Francis Harry Compton Crick, fisico brillante ma fino a quel momento inconcludente, allora trentaseienne; e il suo giovanissimo collaboratore James Dewey Watson, zoologo americano, giovanissimo - neanche venticinque anni - ambizioso, considerato da molti un tipo arrogante e scortese. I due brindano a voce alta, dandosi di gomito l’un l’altro come studenti spacconi.
Si vantano coi colleghi di aver risolto uno degli enigmi più importanti della storia della biologia, “il segreto della vita” - così dicono, senza fare parola di una certa foto ai raggi X, sottratta alla biochimica Rosalind Franklin, che li ha aiutati a districare la matassa.

Un mistero a lungo irrisolto, un’accoppiata improbabile, un furto, un grande successo: gli ingredienti per una storia romanzesca ci sono proprio tutti, e infatti a settant’anni di distanza la loro vicenda non ci ha ancora stancati.
Quello che James Watson e Francis Crick chiamavano “il segreto della vita”, espressione tanto vaga quanto fortunata, era un problema squisitamente fisico: la forma della molecola del DNA.
Che il DNA esistesse si sapeva da quasi cent’anni grazie al biochimico svizzero Friedrich Miescher, che aveva notato come ogni cellula contenesse nel proprio nucleo una sostanza acida che chiamò nucleina.

Tale sostanza sembrava avere a che fare con il traghettamento del patrimonio genetico, perché aumentava quando la cellula andava incontro a divisione e anche perché gli spermatozoi ne erano ricchi. Miescher è relativamente sconosciuto rispetto alla portata della sua scoperta: la sua fama fu penalizzata dalla sua riservatezza e ritrosia, insieme probabilmente al titolo non proprio accattivante del suo lavoro, Sulla composizione chimica delle cellule pus.

Più o meno negli anni in cui Miescher scopriva la nucleina, Gregor Mendel, con i suoi esperimenti sulle piante di piselli, dimostrava l’esistenza di meccanismi di ereditarietà; ma come avveniva, nella pratica, la trasmissione del patrimonio genetico da una coppia di individui ai suoi figli? Come facevano i caratteri ereditari a passare da una generazione all’altra, e in qualche caso a sparire per ricomparire poi, saltandone una?

Non tutti erano certi che la molecola chiave fosse proprio la nucleina: le proteine, con la loro varietà e complessità, sembravano candidate migliori per trasportare tanta informazione. A metà del secolo scorso, però, che la nucleina - che ormai si chiamava DNA - fosse la depositaria dei geni era stato chiarito.

Il primo passo era dunque capire la struttura della molecola. Il quesito teneva impegnate parecchie decine di biologi in varie parti del mondo: primi tra tutti quelli guidati dal due volte premio Nobel Linus Pauling al Caltech di Pasadena, in California, da Maurice Wilkins - il capo di Rosalind Franklin - al King’s College di Londra, e da James Crick al Cavendish Lab di Cambridge.

Al momento del trionfo di Watson e Crick, quel sabato mattina del febbraio 1953, vari tentativi erano stati fatti, vari modelli erano stati proposti, ma nessuno era stato convincente. Tra i diversi laboratori coinvolti c’era una grandissima competizione, al punto che quando James Watson aveva chiesto a Rosalind Franklin di vedere le immagini del DNA che aveva ottenuto, lei non ne aveva voluto sapere.

Fu Wilkins, il superiore di Franklin, a mostrare la foto 51 - un capolavoro di cristallografia a raggi X - a Watson e Crick. Ironia della sorte, una decina di anni dopo Wilkins, e non Franklin, era a Stoccolma a condividere il premio Nobel per la medicina e la fisiologia con Watson e Crick.

Una doppia elica. Una scala arrotolata su se stessa, fatta di due metà complementari, che parlano una lingua di quattro lettere: adenina, guanina, timina e citosina. Ecco come faceva il DNA a replicarsi: a partire da una delle due metà, è possibile ricostruire la metà complementare. Scriveranno su Nature Watson e Crick, in un magnifico esercizio di understatement, a corredo del celebre articolo che rese pubblica, in aprile, la loro idea:

It has not escaped our notice that the specific pairing we have postulated immediately suggests a possible copying mechanism for the genetic material

James Watson e James Crick

Rosalind Franklin non aveva intuito, a partire dalle splendide foto che aveva ottenuto in laboratorio insieme al suo collaboratore Raymond Gosling, la struttura della molecola così come Watson e Crick seppero fare. Alcuni storici pensano che ci sarebbe arrivata nel giro di mesi; non lo sapremo mai.

Sta di fatto che il suo lavoro fu importante per arrivare alla soluzione del problema, e finché fu in vita non le fu riconosciuto. Molto si è scritto, in anni recenti, su Rosalind Franklin e sulla sua clamorosa rimozione - al momento del conferimento del premio Nobel a Watson, Crick e Wilkins, nel 1962, lei era già morta, ma non fu neanche citata dalla commissione né da nessuno dei premiati.

Se la trama della vicenda di quella scoperta è così avvincente, il merito è anche del “cattivo” della situazione. Quindici anni dopo i festeggiamenti all’Eagle pub, James Watson diede alle stampe La doppia elica, uno dei libri di scienza più letti e appassionanti di sempre.

Watson oggi sta per spegnere novantacinque candeline e nella sua lunga carriera ha fatto parlare di sé anche per ragioni tutt’altro che nobili: le sue posizioni ai limiti del razzismo lo rendono un personaggio molto controverso. Proprio per la sua scorrettezza, il suo libro ci permette di vedere i protagonisti della storia - autore compreso - con tutte le loro debolezze, invidie, paure.

La contrapposizione tra Rosalind Franklin, cauta e metodica, e i suoi due rivali del Cavendish Lab, fantasiosi e spregiudicati, è anche e soprattutto una differenza nel fare scienza.
Franklin cercava prove, dimostrazioni incontrovertibili di come la molecola fosse fatta.
Watson e Crick invece inseguivano ipotesi, e infine la loro ipotesi - ancorché priva di prove - fu così elegante da rivelarsi vera.

Per approfondire

La doppia elica

Di James D. Watson | Garzanti, 2016

L' albero intricato

Di David Quammen | Adelphi, 2020

Sulle tracce del DNA

Di Claudia Flandoli | Editoriale Scienza, 2020

Imperfezione. Una storia naturale

Di Telmo Pievani | Raffaello Cortina Editore, 2019

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