Il primo nome del premio più ambito al mondo è stato comunicato intorno a mezzogiorno di oggi: è Svante Pääbo ad aggiudicarsi il Premio Nobel per la Medicina. Ha lavorato per tutta la vita alla mappatura del DNA degli uomini primitivi, e nel 2009 lui e il suo team hanno sequenziato l'intero genoma dei Neanderthal. La sue scoperte ci permettono, oggi, di fare grandi passi avanti nello studio dell'evoluzione umana, ipotizzando teorie e parentele fino a qualche anno fa impensabili.
Nato nel 1955 a Stoccolma e studente a Uppsala di storia della scienza ed egittologia, Svante Pääbo si appassiona ben presto alla biologia molecolare, che applica alla ricerca sulle mummie egizie. L'obiettivo era cercare indizi sulla struttura genomica e molecolare, appunto, degli uomini del passato, per costruire famiglie, alberi genealogici e linee di sviluppo o interrotte: nasce in quegli anni, grazie al lavoro di Pääbo e altri, la paleogenomica. Oggi gli straordinari progressi tecnologici hanno permesso alla disciplina di spingersi a una mappatura completa dell'uomo di Neanderthal, che pare abbia lasciato tracce nel nostro stesso codice genetico.
La ricerca di Svante Pääbo ha portato a un risultato straordinario: la mappatura del DNA dell'uomo di Neanderthal. L'evoluzione umana, con lui, prende così nuove direzioni e assume risvolti in attesi, tanto da guadagnare all'autore il Premio Nobel per la Medicina nel 2022
Nel 2014, Einaudi ha portato in Italia il resoconto delle sue scoperte con il libro L'uomo di Neanderthal, un diario dettagliato e avvincente delle vicissitudini che Pääbo e la sua squadra hanno affrontato per arrivare alla conclusione dell'immenso lavoro che si apprestavano a compiere. Attraverso un complesso lavoro di archeologia e al contempo di biologia, Pääbo ha estratto dai resti fossili dell'uomo di Neanderthal il materiale necessario per mapparne il codice genetico. Ciò ha permesso nuove direzioni della ricerca sull'evoluzione umana e nuove possibilità di sviluppo, e la formulazione della teoria per cui noi potremmo essere discendenti diretti dei grossi ominidi che, invece, credevamo estinti.
Nel 2008 Pääbo è stato protagonista di un'altra scoperta fondamentale per gli studi sugli ominini (non è un refuso: si tratta di una sottofamiglia degli ominidi): l'uomo denisoviano. I resti sono stati rinvenuti quell'anno tra le montagne Altaj, in Siberia, e risalgono a circa 40 mila anni fa: lo stato di conservazione, tuttavia, ha permesso ai ricercatori di stabilire che si tratta di un essere umano insolito e mai registrato sino ad allora. Queste comparse nella storia dell'uomo, però, Neanderthal e denisoviani, non sono svaniti senza lasciare tracce, perché, al contrario, il loro periodo di convivenza con l'Homo Sapiens ha permesso loro di incrociarvisi e di trasmettere parte del proprio patrimonio genetico. Per cui, per una quantità che va dall'1 al 4%, anche noi, oggi, siamo un po' Neanderthal.
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