La poesia è donna e si chiama Patrizia Cavalli

Era nata a Todi nel 1945, ma Roma è stata la città fondamentale, quella dell‘incontro con Elsa Morante, il punto di svolta della sua vita, quell’appuntamento del destino che l’ha resa una poetessa.
Le sue raccolte di versi, quasi tutte pubblicate da Einaudi, hanno segnato la storia della letteratura e quella di una delle collane più importanti di questo editore, la Collezione di poesia Einaudi, detta normalmente “la Bianca”: Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974), Il cielo (1981), L'io singolare proprio mio (1992), riunite nello stesso anno in Poesie (1974-1992), Sempre aperto teatro (1999), La guardiana (2005, pubblicata da nottetempo), Pigre divinità e pigra sorte  (2006), Datura (2013), Vita meravigliosa (2020).
Ci ha regalato anche passi di prosa dando alle stampe Con passi giapponesi (2019), pubblicato sempre da Einaudi, in cui confluiscono testi inediti e scritture meno recenti, oltre alle splendide traduzioni teatrali come Anfitrione di Molière, Sogno di una notte di mezza estate e l'Otello di Shakespeare.

Questa la poesia inedita inclusa nel volume speciale dedicato proprio ai 50 anni della Collezione di Poesia Einaudi, 50 anni di Bianca. 1964-2014

- Hai qualcosa da dire?
- No, mi pare di no.
  Vorrei dire, però.
- E che cosa?
- Non lo so.
   Ma penso che si può
   sempre dire qualcosa.
- Dipende dal volere.
- Io il volere ce l’ho,
   però non ho la cosa.
- Come gli abitanti di Montecastello,
   che hanno la gabbia e non hanno l’uccello.

Ma parlando di lei si può immaginare uno spazio peculiare destinato alla poesia femminile? Esistono i versi “al femminile”? Per Patrizia Cavalli esisteva la poesia, non si era mai sentita particolarmente vicina al binomio donne poesia. Dichiarava nel 1986 in occasione di un mese dedicato all’”altra metà della poesia”: «Questo rapporto mi è sempre stato estraneo proprio perché io credo che la condanna peggiore che possa capitare ad un gruppo sia di occuparsi della propria differenza. La mia tendenza è di prendere in considerazione non tanto quello che viene individuato come limite ma di rivolgermi a ciò che può aiutarmi a costruire piccole isole di significato. Anche se capisco che, forse, la mia vita è determinata da alcuni di questi problemi molto più di quanto lo non creda». 

Patrizia Cavalli è stata la poesia degli anni Settanta, il passaggio tra avanguardia e post-moderno, con Dario Bellezza, Eros Alesi, Emilio Isgrò. E ha proseguito la sua strada nei decenni successivi, sapendo mediare tra classicismo e modernità e non perdendo mai la sua strada maestra, con grande coerenza intellettuale e poetica.

Giorgio Manacorda la ricordava tra gli eredi di Orazio, cioè della latinità, cioè della nostra tradizione, mettendola in un gruppo elitario: «Gozzano, Saba, Brecht, Penna, Wystan H. Auden, Pasolini, l'ultimo Montale, il primo Pagliarani e, per calare di generazione, Patrizia Cavalli e Renzo Paris».

Il miglior modo per salutarla è certamente con le parole di Giovanni Raboni, che nel 1981 scriveva:

«Un libro che mi preme segnalare è II cielo di Patrizia Cavalli. La Cavalli aveva esordito nel '74, presso il medesimo editore [Einaudi, ndr.], con una notevole raccolta, Le mie poesie non cambieranno il mondo, rispetto alla quale Il cielo costituisce, tuttavia, assai più di una conferma. Alla felicità istintiva di un gesto poetico aggraziatissimo e “innocente” è subentrata ora, nel lavoro della Cavalli, una pronuncia più grave, profonda e pacata, in grado di rispecchiare con lancinante nitore, ma anche con struggenti combustioni e velature, la dolorosa flagranza dei sentimenti. Se, prima, si poteva pensare a lei come a un pregevole “minore” di scuola permiana, mi sembra che II cielo la ponga, ormai, fra i migliori rappresentanti di quella poesia “esistenziale” che nasce, soprattutto a Roma, dalla confluenza della lezione di Penna con quella di Pasolini e che, nelle nuove generazioni, ha da tempo un esponente di grande rilievo in Dario Bellezza.»

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