Silenzio. E nel silenzio, se il cuore è di pietra, ritrovare le parole scritte. Libri che da tempo mi aspettavano e che, senza che ne avessi alcuna intenzione, sono venuti da me
Ada D’Adamo ci ha lasciati il 1° aprile, cinquantacinque anni, un tumore allo stadio metastatico alla mammella e una figlia splendida, Daria, che amava più di tutto. A lei è dedicato il memoir Come d’aria (Elliot), un libro così potente da essere entrato, appena due giorni prima della scomparsa della sua autrice, nella dozzina del Premio Strega 2023. Somiglia proprio un’eredità, questa sua opera, che in tanti scopriranno postuma, da cui ancora più persone si faranno spaventare: perché Come d’aria racconta di malattia e morte, due parole che oggi sembrano bandite dalla letteratura e dall’arte in genere, e che invece ci servono ad arrivare pronti, com’è successo ad Ada.
Nata a Ortona, vissuta a Roma, amante della danza e attenta studiosa delle forme che il corpo può assumere. Al teatro e allo spettacolo, infatti, ha dedicato diversi saggi, che però non bastano a raccontare la fisicità e la sua fisicità in relazione a un individuo – sempre assuefatto all’idea di averne una, e raramente grato per questo. Poi c’è Daria, però, che è il colpo più forte che potesse darle la vita, perché nasce con una deformazione cerebrale e genetica che le impedisce tante cose, tra cui il privilegio di disporre del proprio corpo.
L’eredità di Ada D’Adamo è un memoir, Come d’aria, appunto, perché quando il nostro corpo ci tradisce diventiamo aria, leggeri, sfidiamo la gravità. Ma è anche un monito – letterario, di vita, deciderà chi leggerà –: non dobbiamo avere paura. E non della morte e della malattia, perché sarebbe ingenuo pensare di scacciare qualcosa di così atavico attraverso i libri. No, non dobbiamo avere paura di chiamare queste cose con il loro nome. Ada D’Adamo ci lascia questo, una letteratura che non teme le parole, la migliore, la più audace, l’unica capace di salvarci.
Perché Come d’aria mette in campo tutto ciò che, al solo pensarci, ci terrorizza e ci blocca: una figlia malata, la solitudine intorno a chi cura la disabilità, la malattia che ci colpisce e ci condanna a nostra volta, il panico di lasciare indifeso chi amiamo di fronte al mondo. E mentre scivoliamo nell’abisso della disperazione, però, ci rendiamo conto di una regola che aleggia da sempre, tra i libri, ma di cui ci siamo dimenticati: quando le nominiamo, anche le cose più terribili diventano meno spaventose. L’eredità di Ada D’Adamo è una battaglia, non con il cancro – espressione, questa sì, terribile –, ma con le parole. Un corpo a corpo per trovare l’unico sollievo possibile, laddove nient’altro sembra capace di salvarci.
Che la terra – la vita su questa Terra – ti sia lieve, mi auguro per te, ogni giorno. E all’auspicio segue l’azione, ché solo sperare non basta
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