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Hi, I’m Johnny Cash: la vita e la musica di una rockstar

Illustrazione digitale di Francesco Vercesi, diplomato al Liceo Artistico Volta di Pavia, 2023

Illustrazione digitale di Francesco Vercesi, diplomato al Liceo Artistico Volta di Pavia, 2023

Erano gli anni ’30 del secolo scorso quando il piccolo John Ray Cash (nato il 26 febbraio 1932) aiutava il padre nei campi di cotone dell’Arkansas, stato povero e ulteriormente piegato dalla Grande Depressione del 1929.

Vita dura e giornate poco adatte a un bambino, che però trovava conforto la sera, quando davanti alla radio non perdeva occasione per ascoltare la musica proveniente dalle emittenti di Nashville, principalmente country e canzoni di preghiera. Difficilmente poteva immaginare che nel 1994, circa sessant’anni dopo, a seguito dell’uscita di American Recordings decine di migliaia di persone si sarebbero ritrovate per sentirlo cantare su ben altri campi, quelli del verde sud-ovest britannico dove si tiene ogni anno il Festival di Glastonbury, il più importante raduno musicale in Europa.

Ammesso che ce ne fosse stato ancora il bisogno, fu il coronamento e la consacrazione definitiva di una carriera gloriosa ma mai semplice e lineare, fatta di ascese rapidissime e tonfi improvvisi, Bibbia e anfetamine, notti in cella ed esibizioni alla Casa Bianca, tutto vissuto con una grande inquietudine, mai placata, e una sincerità spietata.

Del resto, un uomo capace in di scrivere un verso come: «Ho sparato a un uomo a Reno, solo per vederlo morire» (Folsom Prison Blues) non può che avere una conoscenza di prima mano di certi abissi della natura umana.

A volte sono due persone diverse: Johnny è una brava persona, Cash è quello che combina guai. Combattono tra di loro

American Recordings
American Recordings Di Johnny Cash

Pubblicato nel 1994, è il primo disco di Cash prodotto da Rick Rubin per l'omonima etichetta discografica. «Edificante e un inno alla vita» fu definito dalla NME, prestigiosa rivista musicale britannica.

Johnny Cash, in futuro e per tutti The Man in Black, comincia a fare musica sotto le armi nei primi anni ’50. Nel 1954, una volta congedato, prima si sposa e poi bussa alla porta della Sun Records di Memphis, quella di Elvis Presley, per intenderci: brani come Hey Porter, I Walk the Line, Cry Cry Cry e la già citata Folsom Prison Blues sono quelli che in breve lo portano al successo, per gestire il quale comincia a fare ricorso a “stimolanti” di vario genere che lo condanneranno a una dipendenza mai veramente sconfitta nel corso della sua esistenza.

Sul finire del decennio, Columbia Records corteggia Johnny e riesce a strapparlo alla concorrenza, anche grazie alla promessa di dare spazio al suo lato spirituale, dando lui la possibilità di incidere degli album a carattere religioso, desideri coltivato da tempo ma osteggiato dalla precedente casa discografica.

I Sessanta sono anni vorticosi in cui l’attività live e in studio procede a ritmi altissimi: è del 1963 la pubblicazione del singolo Ring of Fire, canzone tra le più celebri di Johnny Cash ma scritta da quella June Carter, a sua volta cantante, conosciuta qualche anno prima e destinata a diventare la sua seconda e amatissima moglie nel 1968.

Johnny Cash inizia inoltre ad esprimere ancora più nettamente la propria vicinanza a minoranze, oppressi, dimenticati e sfruttati attraverso album come Ride this Train, Blood, Sweat and Tears, Orange Blossom Special (con 3 cover dell’amico Bob Dylan) e Bitter Tears: Ballads of the American Indian, album che gli costerà l’appellativo di “radicale” da parte della scena country più ottusa e legata alla tradizione.

The Man in Black pare inarrestabile e chiude la decade pubblicando due leggendari concerti tenuti in carcere At Folsom Prison e At San Quentin («Suono per chi non vede l’alba da troppo tempo») e conducendo per quasi tre anni in TV il Johnny Cash Show, spettacolo sorprendente per l’epoca in cui il padrone di casa invita ospiti come Bob Dylan, Joni Mitchell, Neil Young, James Taylor, Pete Seeger e tantissimi altri, affrontando temi scomodi e generalmente rimossi dalla tv generalista americana.

E poi arrivano gli anni ’70. Partono anche bene, con la pubblicazione dell’album The Man in Black (1971), in cui l’autore finalmente esplicita nell’omonimo brano la ragione del proprio look:

Vesto di nero per la povera gente e per gli sconfitti, che vivono nelle zone affamate e senza speranza della città. Vesto di nero per il prigioniero che ha pagato a lungo per il suo crimine, ma è lì perché è una vittima dei tempi... Ah, mi piacerebbe indossare un arcobaleno ogni giorno e dire al mondo che tutto va bene, ma proverò a sopportare il buio sulla schiena, finché le cose non diventeranno più lucenti, sarò l'Uomo in Nero.
L'autobiografia
L'autobiografia Di Johnny Cash;

Gli alti e bassi di una carriera inimitabile, le difficoltà e i trionfi, i concerti e la solitudine. La storia di un artista fuori dal comune, poliedrico, oscuro e moderno, il più grande narratore in versi della storia d’America.

Nel 1975 pubblica la prima autobiografia, che venderà oltre un milione di copie, mentre nel 1980 diviene l'artista vivente più giovane ad essere introdotto nella Country Music Hall of Fame. Ma qualcosa si rompe: è ormai considerato un autore che ha fatto il suo tempo, manca da parecchio dalle classifiche pop e la casa discografica non lo ritiene più un cavallo su cui puntare.

Riesce comunque a spuntare altri contratti e pubblicare altri dischi (a fine carriera solo gli album in studio saranno una settantina!) tra i quali ricordare Johnny 99 e la parentesi con il supergruppo country Highwayman ma il declino artistico e, soprattutto, fisico diverranno condizionanti al punto di spingere il cantante ai margini della scena.

Amareggiato per essere visto come un artista ormai finito, Johnny Cash ha la fortuna di incontrare Rick Rubin nei primi anni’90. Ed è una resurrezione artistica. Rubin, in quel momento produttore tra i più affermati nell’ambito rap e metal, è alla ricerca di nuove sfide: ammiratore da sempre di Johnny Cash, gli propone una session di registrazione ponendo una sola condizione «Vorrei che facessi tutto quello che ti sembra più giusto».

Johnny Cash è sempre stato un fuorilegge, una figura che non rientrava nei canoni. Lo consideravano un artista country, ma non credo che la gente di campagna l'abbia mai accettato davvero. Era un outsider, e credo sia stato questo ad attrarmi a lui più di ogni altra cosa

Rick Rubin

Nel salotto di casa del produttore, voce e chitarra acustica, Cash registra una trentina canzoni tra vecchi classici e cover. La magia di 13 di quei brani finisce sul già menzionato American Recordings, primo di una serie di album (American II: Unchained, American III: Solitary Man e American IV: The Man Comes Around) realizzati con lo stesso spirito e destinati a rimanere tra le cose migliori mai incise.


Finalmente restituito alla grandezza che merita, Johnny Cash scompare a Nashville (e dove se no?) il 12 settembre 2003. Diceva Harlan Howard – autore tra i più celebri della storia del genere – che una canzone country è in fondo cosa semplice: «Tre accordi e la verità». Il precetto è stato sempre scrupolosamente rispettato da Johnny Cash, facendo di lui uno tra i più grandi narratori in versi della musica americana.

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