Il termine “trauma” deriva dal greco e tradotto letteralmente vuol dire “ferita”. E se parliamo di trauma psicologico la definizione è la seguente: «Grave alterazione del normale stato psichico di un individuo, conseguente a esperienza e fatti dolorosi, negativi, che turbano e disorientano».
Definire l’esperienza della Prima guerra mondiale come un fatto negativo e doloroso sarebbe riduttivo. Utilizzare il termine “trauma” riassume forse meglio ciò che è stata, non solo per i singoli, ma per intere generazioni.
Ma il termine rimane comunque incompleto: non esaurisce tutta la disumanità dell’esperienza, non restituisce l’idea del dolore, della morte, dell’insensatezza.
Forse per questo l’unico modo per tentare di far capire cosa sia stata davvero la guerra è scriverne: mostrare o quanto meno provare a far immedesimare chiunque in un’esperienza del genere. Ed è ciò che prova a fare Remarque per tutta la sua vita.
Erich Maria Remark (il cognome Remarque, alla francese, verrà poi adottato successivamente dallo scrittore) nasce a Osnabrück il 22 giugno del 1898: nel 1916, quando la guerra era ormai scoppiata da quasi due anni, ha esattamente diciotto anni. E a diciotto anni si arruola, volontario.
Gioventù di ferro. Gioventù! Nessuno di noi ha più di vent’anni. Ma giovani? La nostra gioventù se n’è andata da un pezzo. Noi siamo gente vecchia
Il parallelismo con il suo primo libro Niente di nuovo sul fronte occidentale è inevitabile: nel libro Paul Baümer e i suoi compagni di classe si arruolano volontari nell’esercito, spinti dal loro professore e dalla narrazione patriottica che viene fatta della guerra, ma vanno incontro a ben altro.
Remarque svela, fin da subito, la contraddizione tra ciò che viene detto della guerra e ciò che è davvero: i lettori vivono, insieme ai protagonisti, una progressiva disillusione, assistono alla morte, sono la causa di altra morte, senza avere motivi reali per essere lì.
Abbiamo perduto ogni traccia di sentimento l'un per l'altro, non ci riconosciamo quasi più quando l'immagine dell'altro va a incidersi nel nostro sguardo di braccati. Siamo dei morti spietati che per una sorta di trucco, di pericoloso sortilegio sono ancora in grado di muoversi e uccidere
E insieme a Paul e i suoi compagni assistiamo anche alla rassegnazione e all’annientamento psicologico dei soldati, che anche nei momenti in cui tornano a casa, se riescono sopravvivere, non sono più in grado di inserirsi nella società e nella loro famiglia, diventando così esuli della loro stessa vita.
Ciò che siamo stati un tempo non conta, quasi non lo sappiamo più. Le differenze create dalla cultura e dall'educazione sono quasi cancellate, appena riconoscibili. Talvolta rappresentano un vantaggio, nello sfruttare una situazione; ma portano con sé anche qualche svantaggio, perché creano impacci che bisogna poi superare. È come se in passato fossimo stati monete di vari paesi: fuse poi nel medesimo crogiuolo, ormai portano tutte lo stesso conio
Remarque descrive l’esperienza della guerra in maniera reale, riportando il punto di vista di chi la guerra l’ha combattuta davvero.
Dal 1916 Remarque combatte: dopo l’addestramento viene trasferito nelle Fiandre occidentali, e successivamente in Germania dopo essere stato ferito da un proiettile. Termina la convalescenza il 7 novembre del 1918, ma quattro giorni dopo, terminata la guerra, è smobilitato.
Ed è da quel momento che inizia a raccontare: con Niente di nuovo sul fronte occidentale, pubblicato nel 1929, ottiene un successo immediato. A seguire scrisse La via del ritorno, che racconta il ritorno e il reinserimento di un soldato nella sua vita, in cui la domanda principale che emerge è ben riassunta in una frase del libro:
Siamo adatti per la pace? Siamo, in genere, adatti a qualcos’altro che non sia la vita del soldato?
In seguito scrisse Tre camerati, terzo libro della trilogia sulla Prima guerra mondiale.
Ma è Niente di nuovo sul fronte occidentale a ottenere talmente tanto successo che nel 1933 venne messo al bando dai nazisti, mentre Remarque si trovava prima in Svizzera e poi fuggiva negli Stati Uniti, scrivendo La notte di Lisbona (1963).
Prima riesce anche a pubblicare La via del ritorno (1931), che racconta l’esperienza della Seconda guerra mondiale, e Arco di trionfo (1945).
Ogni opera di Remarque, anche quando si trova ormai lontano dal fronte, parla in qualche modo di guerra: guerra che può essere anche essere costretti a lasciare la propria casa per salvarsi o fare fronte alle conseguenze psicologiche per aver combattuto in trincea.
Remarque racconta sempre di un trauma: di una ferita talmente profonda che non riesce a essere esaurita in poche parole e neanche in un unico libro. Un trauma che in qualche modo elabora mostrandolo il più possibile, a cui cerca di dare un senso e che riesce a diventare universale, commovente, condiviso, anche da chi la guerra non l’ha mai combattuta. E che riesce a elevare Remarque a uno dei più grandi romanzieri del Novecento.
Di
| Neri Pozza, 2016Di
| Neri Pozza, 2014Di
| Neri Pozza, 2015Di
| Neri Pozza, 2022Di
| Neri Pozza, 2020Di
| Neri Pozza, 2017Di
| Neri Pozza, 2022Di
| Neri Pozza, 2013Di
| Neri Pozza, 2019Di
| Neri Pozza, 2021Di
| Neri Pozza, 2015Ti potrebbero interessare
Hai domande, dubbi, proposte? Vuoi uno spiegone? Scrivi alla redazione!
Conosci l'autore
Per poter aggiungere un prodotto al carrello devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.
Per poter aggiungere un prodotto alla lista dei desideri devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.
Il Prodotto è stato aggiunto al carrello correttamente
Il Prodotto è stato aggiunto alla WishList correttamente