Il lamento di Tex

Era il 1988 quando il gruppo metal dei Poison dominava le classifiche con Every rose has its thorn, canzone in cui non si affermava soltanto che non c’è rosa senza spine, ma si sosteneva anche che non c’è notte senza alba e non c’è cowboy che non intoni la sua triste, triste canzone.

Chissà, forse ne intonerebbe una anche Tex Willer, che nelle ultime settimane si è visto un po’ relegare nel dimenticatoio degli appassionati di fumetti, accorsi al cinema per vedere sul grande schermo il rivale Diabolik.

I Manetti Bros non badano a spese, ingaggiando un cast di tutto rispetto – dall’algido Luca Marinelli a una qui ossigenatissima Miriam Leone – e tratteggiando un noir che sembra ispirarsi più alla saga di James Bond che a quella di Spiderman.

Un’operazione artistica e commerciale alquanto atipica per la scena italiana, spesso cristallizzata da qualche parte all’interno dello spettro che va dal cinepanettone al drammone familiare. Non è un caso se i cine-comics sono spesso liquidati come “americanate”: oltreoceano i cinecomics continuano ad andare per la maggiore.
Se ne farà una ragione Martin Scorsese, che in più di un’intervista ha candidamente ammesso di non guardare i film della Marvel perché “non li considera cinema”.

Peggio per lui.
Noi intanto ci godiamo supereroi, giustizieri e compagnia bella.
Quindi ben vengano gli esperimenti alla Diabolik – basta che mettiate in cantiere anche un film su Tex e Dylan Dog, altrimenti poi ci restano male.