C’è il tempo del prima e il tempo del dopo. E ci sono le due metà di un uomo che questi prima e dopo ha vissuto fra sublimazione e razionalità.
Nato in un sobborgo di Manchester il 25 febbraio del 1917, Anthony Burgess – nom de plume di John Anthony Burgess Wilson – è stato uno dei più celebri autori inglesi del Ventesimo secolo. Orfano di madre in tenera età, è probabilmente quel ventre gravido di note ad aver nutrito il suo talento ancora seme.
La carriera letteraria di questo eclettico personaggio del Novecento fu infatti preceduta da quella musicale:
All’inizio volevo essere un artista figurativo, ed entro i dodici anni alcuni miei disegni erano stati accettati anche da giornali nazionali. Poi, a quattordici anni, imparai a suonare il piano e a comporre musica da autodidatta, e fin quasi all’epoca del mio primo romanzo, scrissi vere e proprie opere musicali – due sinfonie, due concerti, sonate, canzoni, musica incidentale per rappresentazioni teatrali. Penso che un triplo apprendistato di questo genere (ho scritto inevitabilmente anche poesie e racconti) sia proficuo per un romanziere.
Non potendo proseguire gli studi musicali a causa di un esame andato male, si iscrisse all’Università di Manchester laureandosi in Letteratura e filosofia. Lettore e docente, nel suo perenne scorrere da un luogo all’altro, durante un soggiorno in Malesia abbozzò le idee da cui nacque Trilogia malese.
L’opera – definita «un trittico narrativo del tramontante imperialismo britannico» – si compone di tre volumi: L’ora della tigre (1956); Il nemico tra le coperte (1958); Letti d’Oriente (1959). Da quest’ultimo componimento è tratta la potente sequenza autobiografica del narratore:
Crabbe sedeva a casa sua, nel crepuscolo, bevendo tristemente gin e acqua, attendendo che l’alcol – come una grande sinfonia romantica – gli avvelenasse i nervi fino a dargli quiete e rassegnazione. Aveva avuto una giornata difficile. Gli studenti del locale istituto anglo-cinese avevano deciso di scioperare e avevano picchiettato per tutto il giorno il cortile della scuola, inalberando cartelli e striscioni con ideogrammi rivoluzionari.
Durante la permanenza nel Brunei, nella vita dello scrittore si aprì una profonda spaccatura e il funambolo del linguaggio si trovò sospeso su un filo di incertezze. Correva l’anno 1959:
«Avevo già pubblicato un paio di libri, ma avevo sempre visto la scrittura come una sorta di hobby per gentiluomini. […] Quando mi è stato concesso questo anno da vivere, ed ero rimasto senza soldi, con la prospettiva di lasciarmi alle spalle una vedova senza la possibilità di sostentarsi, dovetti mettermi al lavoro con la scrittura. Ho scritto cinque romanzi e mezzo in quello stesso anno, ho lavorato un po’ come giornalista, ho scritto un paio di sceneggiati televisivi, e mi sono sentito meglio», Alan R. Roughley in "Anthony Burgess and Modernity" (2008)
Inghilterra. 1962. È l’anno del Nadsat, lingua sperimentale di cui è intriso il capolavoro letterario Arancia meccanica; è l’anno in cui musica e parole si muovono insieme per realizzare la più grande sinfonia del bene e del male:
«[…] e dopo quello pensai che mi ci voleva un ultimo disco prima di passare la frontiera, e volevo qualcosa di bigio e forte e molto fermo, così misi J.S Bach, il Concerto Brandeburghese solo per viole e violoncelli. E, snicchiando con una specie d’estasi diversa da prima, locchiai di nuovo il titolo sul foglio che avevo sciancato quella sera, sembrava tanto tempo fa, in quel cottage chiamato casa mia. Riguardava una certa arancia meccanica […]»
Sempre nel 1962 esce Il seme inquieto, un romanzo caratterizzato da tinte distopiche tutte burgessiane:
«[…] Covava l’istintiva persuasione che, se un Dio esisteva, dovesse aver dimora in mare. Il mare significava vita, sussurrasse o gridasse diceva sempre fecondità […]. Se almeno, pensò smaniosamente, il corpo del povero Roger avesse potuto esser gettato in quelle acque fameliche, trascinato via per venir rosicchiato dai pesci, invece di finire impassibilmente trasformato in sostanze chimiche e silenziosamente dato in pasto alla terra».
E circa vent’anni dopo viene pubblicato un romanzo storico che impegnò lo scrittore per molto tempo, Gli strumenti delle tenebre (1980). Considerato fra le migliori opere narrative in lingua inglese della seconda metà del Novecento, nel 1983 vinse la prima edizione del premio Malaparte.
In quel turbolento moto dell’esistenza in cui la macchina umana è scaraventata sono due, quindi, le metà ancora oggi non appieno esplorate di una personalità ricca di fascino e mistero che – attraverso quell’autentica via della conoscenza che è la letteratura – ha saputo trasformare la cacofonia del sociale in un suono armonioso di consapevolezza.
Di
| Rusconi Libri, 1982Di
| Vintage Publishing, 2002Di
| Minimum Fax, 2008Di
| Einaudi, 2022Di
| Einaudi, 2023Gli altri approfondimenti
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