Il libro di cui hai bisogno si trova accanto a quello che cerchi
Si vorrebbe sempre essere: essere stati, mai. E ci ripugna di non poter vivere contemporaneamente in due luoghi, quando l'uno e l'altro vivono nel nostro pensiero, anzi nel nostro sistema nervoso: nel nostro corpo. Possiamo infatti metterci in viaggio. Ma mentre la meta si avvicina e diventa reale, il luogo di partenza si allontana e sostituisce la meta nell'irrealtà dei ricordi; guadagniamo una, e perdiamo l'altro. La lontananza è in noi, vera condizione umana; laggiù si sognava la patria, come dalla patria si sogna l'estero. Ma il primo grande viaggio lascia nei giovani, di qualunque levatura e sensibilità, un dissidio che le abitudini non possono comporre. Precisa l'idea degli oceani, dei porti, dei distacchi; crea quasi, nella mente, una nuova forma, una nuova categoria: la categoria della lontananza […] Chi ha provato la lontananza difficilmente ne perde il gusto: il primo viaggio, la prima sera che il novo-peregrin è in cammino, nasce la nostalgia, per sempre. Ed è il desiderio di tornare non soltanto in patria, ma dappertutto: dove si è stati e dove non si è stati. Due grandi direzioni si alternano: verso casa, verso fuori.
Non capisce, forse, non ama il proprio paese chi non l'ha abbandonato almeno una volta, e credendo fosse per sempre.
(Mario Soldati, America primo amore)
Voglio cominciare a parlare della nostalgia con una nostalgia tutta mia personale: quella per i libri fuori catalogo. La lunga citazione con cui ho iniziato è infatti tratta da un libro bellissimo che non si trova più sugli scaffali delle librerie e quando questo succede a libri che ho amato profondamente, per me è sempre un dispiacere enorme. Un giorno, magari, scriverò un articolo su questo tema, ma oggi la nostalgia me la faccio prestare da altri cinque libri e altrettanti autori e autrici. Non che io ne abbia bisogno, eh, di farmi prestare la nostalgia, che ne produco a palate già per conto mio e quando ciò accade, amo rifugiarmi nella consentaneità di alcune specifiche voci che, come un’eco, sembrano rimandarmi la mia. La prima è indubitabilmente quella di Fernando Pessoa con Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares. L’autore, seguendo le riflessioni del suo eteronimo, ci conduce in un labirinto ansioso e tormentato attraverso il quale il protagonista – e biografo di sé stesso – Bernardo Soares, contabile di Lisbona imprigionato nel grigiore della sua vita quotidiana, tratteggia, con un andamento diaristico, le modalità di rapportarsi con il mondo esterno della realtà sensibile e delle relazioni. Nell’universo dei suoi stati d’animo, emerge fra tutti quello della nostalgia, ma di un tipo specifico di nostalgia, ossia quella per tutte le versioni di noi che non siamo stati ogni volta che abbiamo preso una decisione di fronte a uno dei bivi che ci ha posto la vita. La sua condizione di saudade è portata all’estremo, Bernardo Soares confessa di avere nostalgia anche per ciò che non è successo, che non è potuto accadere. Per quando avete voglia di scandagliare a fondo l’animo umano, ma aspettatevi di sentirvi scandagliati voi stessi.
Nostalgia di tutt’altro genere è quella di cui è intriso il romanzo di Stefano Costa, Il primo giorno d’autunno al mondo dove la malinconia contro cui deve combattere Driano, ormai malato e costretto alla sedia a rotelle, è quella dell’amarezza nata in seno a una famiglia che non ha saputo accordarsi intorno alla gestione della casa natìa, lasciata a cadere a pezzi dopo che l’esondazione di un fiume l’ha resa inabitabile e dove però vivono ancora tutti i ricordi di gioventù che Driano condivide con Recaldo e Cordano, i due cugini, alla lontana, con cui si trova a discutere per l’eredità. Quando ancora poteva camminare, Driano aveva salvato dalla morte una talpa e, al culmine della propria disperazione, le aveva chiesto di estinguere la razza umana. Anni dopo, quando ormai lui è in punto di morte, la talpa ha radunato un piccolo esercito di animali pronti a combattere per assecondare il desiderio di Driano, ma altri animali hanno invece deciso di fronteggiare quello schieramento e tentare di salvare gli umani. Sullo sfondo di questo scontro epico, si consuma la vicenda di Driano e della sua famiglia, tutti ostaggi di un mondo che è andato avanti lasciando ciascuno solo nella solitudine dell’esistenza. Questo è cupo, vi avviso, ma lo stile dell’autore è talmente lirico che sembra di leggere una poesia. Una poesia straziante, ma ineffabile.
“È assolutamente ridicolo dire che è impossibile trovare un altro posto dove potremmo essere altrettanto felici”, dice Jacqueline al marito Ethan Lleweyllen con il cuore pieno di una speranza che, si ha la sensazione fin dalle prime pagine del libro, verrà tradita. Malcom Lowry nel suo libro Il traghetto per Gabriola ripercorre tutti i topoi già esplorati con il suo capolavoro Sotto il vulcano (come l’amore, l’alcolismo, i viaggi, la delusione delle aspettative, il misticismo), in un romanzo più intimista che racconta i complessi processi dell’inconscio nella storia d’amore tra Ethan e Jacqueline e del loro viaggio, a lungo fantasticato e mai realizzato, verso Gabriola, una delle isole al largo della Columbia britannica. Il cuore del romanzo, però sono i ricordi autobiografici dello stesso Lowry – che, nel libro, vengono traslati su Ethan – dei quattordici anni passati con la moglie Margerie – nel libro Jacqueline – in una rustica capanna su palafitte da lui costruita in un’insenatura dell’isola di Vancouver, in quello che l’autore e il suo personaggio, definiscono come il periodo più felice della vita. Quella stagione assurge, nella mente dell’autore e quindi anche del suo protagonista, a un passato mitico a cui guardare con la nostalgia di chi sa che non si sarà mai più felici come in quel periodo. E chi non ha provato almeno una volta nella vita questa sensazione?
E di nostalgie, al plurale è disseminato anche Una notta soltanto, Markovitch, di Ayelet Gundar-Goshen, un romanzo di cui non riesco a parlare ad alta voce senza commuovermi. Mi si spezza la voce all’istante. La forza di questo libro è sicuramente l’eccezionale bravura dell’autrice nel costruire una trama avvincente eppure piena di riflessioni, con personaggi indimenticabili e raccontata con una prosa eccelsa. Ma quello che mi ha spezzata in due è la sua capacità di dare spessore e profondità a ogni personaggio, ciascuno alle prese con la propria dimensione nostalgica; chi per una terra che ha dovuto abbandonare; chi per la propria lingua madre che non sente più parlare; chi per il periodo sognante della gravidanza, quando l’irruenza di un neonato urlante fa sentire inadeguate; chi per un amore di gioventù; chi per il periodo che precede la perdita dell’innocenza. Tutti i personaggi di Gundar-Goshen sono pregni, complessi, sfaccettati e in tutti si può ritrovare un aspetto di noi stessi.
Voglio concludere questa cinquina con un autore che, di nostalgia, ne sa davvero qualcosa. Eppure sono certa che vi risulterà inaspettato. Parlo di Stephen King e del suo L’ultimo cavaliere, capitolo d’esordio della saga in sette volumi La Torre Nera. Potrei parlare di questa saga per ore, a partire dalla sua bizzarra esegesi editoriale, ma per esigenze di spazio vi dico solo: leggetela. Innanzitutto ha uno dei più begli incipit di sempre: “L’uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì.” Breve, nitido, lineare. Un pistolero, leggendaria figura dell’eroe solitario; un deserto – che in realtà è più uno sconfinato paesaggio apocalittico –; un uomo in nero; ma soprattutto una Torre Nera. Una misteriosa torre proibita. Questa saga è letteralmente tutto quello che possiate immaginare, c’è l’amicizia indissolubile spinta fino al sacrificio di sé, l’amore incontaminato e poi perduto, l’epicità delle guerre di ribellione, l’atmosfera fantasy mai esasperata, un caleidoscopio di personaggi eroici e lande sterminate di nostalgia verso il Medio-mondo, che ormai è andato avanti. La mia collega Silvia, massima estimatrice di King vivente, dice sempre ‘C’è un prima e un dopo, con la Torre Nera’ e penso che sia il miglior modo per definire l’impatto che questa saga avrà sulle vostre vite. Io vi auguro lunghi giorni e piacevoli notti, alla maniera di Roland di Gilead e vi aspetto in libreria!
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