La brevità è l’anima dell’arguzia
Spesso si ha la convinzione che i libri debbano raccontare grandi epopee, che affrontare storie lunghe e corpose sia l’unico modo per sviluppare una narrazione effettivamente completa e complessa. Ma non è così. In tante piccole opere accade l’impensabile, come nelle storie di Alessandro Baricco, o in quelle di Annie Ernaux, caratterizzate dalla brevitas, fatte rare eccezioni. Chi dice che una storia abbia una misura giusta?
La potenza di un testo in poche pagine sta proprio nella sua concentrazione di densità e intensità, talvolta anche nelle parti omesse e che il lettore si sente sfidato a costruire. Basti pensare a Mancarsi di De Silva, in cui i protagonisti esistono nell’essenza che risponde all'immaginazione di un essere coppia e c’è da interrogarsi anche su cosa possano o non possano essere in una dimensione a due. Dove vanno quando non li seguiamo? Cosa succede quando la lente del narratore si sposta e salta il tempo? Questo accade di frequente nei romanzi brevi: piccoli fatti concentrati ma che si propagano nella loro onda emotiva.
Invece, un racconto di tutt’altra natura e ben privo di scampo è quello narrato da Sciascia in Una storia semplice. Una vicenda dolorosa e piena di tutti quegli ingredienti che fanno della vena d’inchiostro dell’autore siciliano un’esatta commistione di denuncia e impossibilità di fuga, secretati nella chirurgia di uno stile inappuntabile.
Ma le pagine – poche, solo numericamente scarne – possono ospitare confessioni, elucubrazioni, ma anche saggi, piccoli pamphlet che puntano la luce su vicende minime e di cui, forse, conta accarezzare il dettaglio, fermarsi a riflettere e riuscire a focalizzarlo. Controfigura di Rachel Cusk si prepone proprio di riflettere sull’arte, sulla sua essenza del doppio e sulla veridicità menzognera che plasma l’artista e lo conduce in un processo continuo di riconoscimento e disillusione.
Ecco, qualsiasi sia la storia di cui si ha bisogno, pur avendo poco tempo, o volendo bere una storia in un sol sorso, meno di 100 pagine – molto spesso – possono bastare e farci sentire di aver trascorso un tempo buono, immersi fra le parole, nella misura più giusta per il loro racconto.
È notte, una Mercedes raggiunge la fattoria di Mato Rujo. A bordo dell’auto ci sono tre uomini: Salinas, el Gurre, Tito. Sono lì perché cercano Manuel Roca, il proprietario della fattoria. Sono lì perché la guerra è finita, ma non per tutti. Molto tempo dopo, seduto a un elegante caffè del centro, un anziano racconta questa storia, e ne ascolta un’altra. Perché la guerra è finita, da anni ormai, ma non per tutti.
In un'assolata domenica d'estate una bambina ascolta per caso una conversazione della madre, e la sua vita cambia per sempre: i genitori hanno avuto un'altra figlia, morta ancora piccola due anni prima che lei nascesse. È una rivelazione che diviene spartiacque di un'infanzia, segna il destino di una donna e di una scrittrice.
Se le vite di Nicola e Irene non s'incontrano fino alla fine, le loro teste invece s'incontrano nelle pagine di questo libro: i pensieri, le derive, il sentire si richiamano di continuo, sono ponti gettati verso il nulla o verso l'altro. Forse, verso l'attimo imprevisto in cui la felicità finalmente abbocca.
"Una storia semplice" è una storia complicatissima, un giallo siciliano, con sfondo di mafia e droga. Eppure mai - ed è un vero tour de force - l'autore si trova costretto a nominare sia l'una sia l'altra parola. Tutto comincia con una telefonata alla polizia, con un messaggio troncato, con un apparente suicidio. E subito, come se assistessimo alla crescita accelerata di un fiore, la storia si espande, si dilata, si aggroviglia, senza lasciarci neppure l'opportunità di riflettere.
Un artista realizza dipinti i cui soggetti appaiono capovolti, una serie di nudi diventa una spettacolare sequenza di vite mancate, azioni apparentemente folli danno voce a inesprimibili silenzi e pulsioni inconfessabili.
Per l'inaugurazione dell'anno accademico alla Tulane University, Jesmyn Ward ha tenuto un discorso commovente sul valore del duro lavoro e sull'importanza del rispetto per se stessi e gli altri, partendo dalla sua esperienza tutta in salita di donna afroamericana cresciuta nella realtà difficile degli Stati Uniti del sud.
La storia si presenta in tutta innocenza quale pura e semplice descrizione della lotteria che si svolge nell'atmosfera pastorale, quasi idilliaca, di un villaggio del New England in un luminoso mattino di giugno, come ogni anno da tempo immemore. Ma giunto al termine di questo racconto, come degli altri che compongono l'intensa silloge qui proposta, il lettore scoprirà da sé, in un crescendo di "brividi sommessi e progressivi" - come diceva Dorothy Parker che cosa li rende dei classici del terrore.
Cosa significa essere femminista oggi? E cosa significa essere una madre femminista? Mostrare a una figlia le trappole tese da chi la vuole ingabbiare per mezzo della violenza, fisica o psicologica, in un ruolo predefinito, e spiegarle che quel ruolo non ha nessun valore reale e che potrà scegliere di essere ciò che vorrà. Un manifesto necessario in un presente in cui dobbiamo imparare a vivere la differenza per poterci ancora dire umani.
Giovane medico del pronto soccorso, Gerard Galvan racconta una folle notte di molti anni prima, quando fra crisi di asma e arti spappolati era stato finalmente notato un uomo seduto su una sedia che ripeteva: "Non mi sento tanto bene". Il malato passa da tutti gli specialisti, convocati d'urgenza a risolvere uno dopo l'altro crisi acute di ogni genere: dall'occlusione intestinale all'esplosione della vescica, all'attacco epilettico. Rimasto accanto al suo letto, Galvan si addormenta e al mattino il malato non c'è più.
"È successo il 30 dicembre 2003. Potrebbe sembrare un bel po' di tempo fa, ma non è così quando capita a te..." In questo adattamento teatrale del suo bestseller mondiale, vincitore di numerosi premi letterari, Joan Didion trasforma la storia dell'improvvisa e inaspettata perdita del marito e dell'unica figlia in uno scioccante monologo al femminile.
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