Un tuffo nella scienza

Due chiacchiere tra balene

Illustrazione digitale di Adèle Baer, 2022

Illustrazione digitale di Adèle Baer, 2022

Ti ricordi Dory, la pesciolina smemorata di Alla ricerca di Nemo? Lei dimenticava tutto, tranne la sua seconda lingua: il balenese. Nella realtà un pesce non può parlare con le balene, però in quella scena qualcosa di vero c’è, perché le balene hanno una “lingua”, o quasi. Un modo di comunicare molto speciale: qui sotto potrai ascoltare qualche esempio.

La parola “balene”, in realtà, non definisce un’unica specie: le balene sono grandi cetacei, cioè mammiferi che vivono in acqua, che invece di avere i denti - come delfini, orche e capodogli - hanno i fanoni, un enorme filtro che usano per trattenere in bocca il plancton di cui si nutrono. Tutti i cetacei hanno una “voce”, cioè emettono suoni che consentono loro di scambiarsi informazioni con amici e parenti. Allora possiamo dire che parlino? Be’, rispondere a questa domanda è un po’ più difficile. Ma andiamo con ordine.

Le voci dei cetacei cambiano anche molto da specie a specie: il balenese di Dory, per esempio, si ispira a un vero e proprio canto, lento e grave come quello delle megattere. Vuoi sentire? Ecco qua un giovane esemplare registrato al largo dell’isola di Tonga, in Polinesia. Gli scienziati hanno studiato moltissimo il canto delle balene - ne abbiamo parlato anche qui.

Raccogliere le loro voci significa fare spedizioni in mare aperto con imbarcazioni dotate di idrofoni, registratori capaci di funzionare sott’acqua. Ogni suono deve essere catalogato con la massima precisione: il giorno e l’ora, l’esemplare, la situazione. Oggi il progetto CETI sta lavorando per interpretare il linguaggio delle balene grazie all’intelligenza artificiale. Il meccanismo è lo stesso di google translator: il progetto CETI raccoglie tantissime chiacchierate tra balene immettendo tutte le informazioni possibili sul contesto, la stagione, la parentela tra loro e così via, e punta a ricostruire una “traduzione” verosimile. Non devi immaginare conversazioni complesse come le nostre, ma è possibile che le balene sappiano comunicare concetti come pericolo, corteggiamento, protezione, aggressività e così via.

 

Proviamo a fare due chiacchiere con i capodogli, che invece dei fanoni hanno i denti. Loro non cantano: il loro saluto più frequente è fatto di tanti "click". Se stai pensando al suono che fa il tasto del mouse, ecco, no… i click di un capodoglio possono essere così forti che una persona che gli nuota vicino rischia di essere investita dalla vibrazione e perfino di ritrovarsi con i timpani danneggiati. I click possono essere di tanti tipi: frequenti e ravvicinati, fino a sembrare un motorino che si avvia, oppure lenti. Quelli lenti servono soprattutto ai maschi per conquistare le loro compagne ("ehi, senti che voce profonda ho? Significa che sono un bell'esemplare grande e in salute"). I click più veloci invece sono il modo che i capodogli usano per l'ecolocalizzazione, che è la capacità di capire quanto sono distanti superfici e altri ostacoli (il fondale, una nave, un altro capodoglio) in base a come le onde sonore tornano indietro. È un po' come giocare a tennis bendati contro un muro: se la pallina ci torna indietro subito significa che il muro è vicino, se invece ci mette un po', allora che tra noi e la parete ci deve essere un po' di spazio. I capodogli non sono ciechi, ma nell'acqua vedere lontano è difficile. E non hanno olfatto: ecco perché hanno questo linguaggio fatto di click così forti che riescono a comunicare anche a una quindicina di chilometri di distanza!

Ma la cosa più bella è che ogni capodoglio ha una sua sequenza di click personalizzata, come un cartello che annuncia il suo arrivo. E i suoi compagni lo chiameranno imitando quel suono, come quando gridi a una tua amica: “Giulia, siamo qua!”. Questo significa che ogni capodoglio ha, in fondo, un nome. E c’è un’altra cosa eccezionale che i capodogli sanno fare: capire al volo se un altro capodoglio appartiene o no al suo clan, cioè il gruppo dei famiglie di cui fa parte anche la sua. Un clan può essere fatto anche di centinaia di famiglie e contare migliaia di individui: è importante sapere se il collega capodoglio che si trovano davanti è un estraneo oppure appartiene allo stesso clan. Non sempre è facile, proprio perché i clan sono così grandi che due individui dello stesso clan potrebbero non incontrarsi mai. Il trucco è la lingua. Già, i capodogli di clan diversi parlano lingue diverse. Proprio come te quando vai in vacanza all’estero: per capire se la signora sull’autobus davanti a te è italiana o no, ti basta sentirla parlare.

Ma torniamo alla domanda iniziale. I cetacei parlano? A essere precisi, no. Secondo i linguisti, parlare significa tre cose: padroneggiare tanti concetti; associare a ogni concetto una parola (che può essere anche un suono, un verso, un grido); e soprattutto saper combinare queste parole insieme in infiniti modi. Questa è la difficoltà più grande e non esistono animali di cui si sappia che possano costruire un discorso modulato di volta in volta a partire dai mattoncini delle parole. Noi umani ci sentiamo tanto furbi a saperlo fare, ma a pensarci bene… Sappiamo forse nuotare come un delfino? Stare in apnea per un’ora come una balena? Comunicare con un amico a 15 km come un capodoglio?

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