Mi piace la resa del titolo in italiano, addosso alle immagini e non dietro perché l’immagine ha un corpo, un volume: è il motivo per cui amo frapporre la telecamera tra i miei personaggi. Amo mostrare la loro corporeità, perché una schiena è espressiva tanto quanto un volto
Così Luc Dardenne, presentando il suo ultimo libro Addosso alle immagini. Viaggio nel nostro cinema, una raccolta di appunti e pensieri scritti tra il 1991 e il 2014 (Il Saggiatore, edizione italiana a cura di Stefania Ricciardi) al Salone del Libro di Torino si racconta, tra cinema, carriera, il rapporto con suo fratello e qualche accenno ai progetti futuri.
Un'immersione nel cinema dei fratelli Dardenne attraverso i diari di Luc: le riflessioni, le scelte e i ragionamenti che hanno accompagnato la creazione dei loro film. Tra gli anni novanta e il primo decennio del nuovo secolo Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno dato vita ad alcuni tra i film più memorabili del panorama mondiale: opere crude e innovative, capaci di offrire un nuovo linguaggio al realismo e di incontrare il favore di critica e pubblico
Ma il cinema dei fratelli Dardenne non è fatto solo di corporeità e riprese di spalle, ci sono anche i campi stretti e una capacità unica di esprimere la vicinanza:
Quando si filma un uomo da vicino vediamo il suo petto animato dalla respirazione
Se l’obbiettivo è quello di cogliere la vita, allora non c’è soggetto migliore di un corpo. Ci torna ancora Luc Dardenne sull’importanza della vita nel cinema:
Nanni Moretti una volta disse una frase di Eduardo De Filippo che mi colpì molto: «Se cerchi lo stile, trovi la morte; se cerchi la verità, trovi la vita». E mio fratello e io la appoggiamo in pieno, cerchiamo la vita e combattiamo contro la morte a ogni inquadratura
Anche il rapporto con la morte però è complesso ammette il regista belga, perché non si possono estromettere la morte e la sofferenza dai film, dal momento che anch’esse fanno parte della vita.
Ma l’imperativo di ogni cineasta è cercare di catturare la vittoria della vita sulla morte, quel magico momento in cui la vita ritorna, perché cos’è il cinema se non «mettere in pausa la propria vita per poterne vivere un’altra, anche solo per poco?».
Ma c’è anche spazio per parlare dei grandi maestri del cinema, coloro che agli inizi li hanno fatti innamorare ed ecco che Luc Dardenne, si perde con sguardo sognante, rievocando i film di Bresson, di Fellini, di Pialat, di Kieslowski e tanti altri ancora.
Sul cinema contemporaneo inizialmente non si vuole sbilanciare, ma poi non riesce proprio a nascondere il suo amore per Marco Bellocchio e per il già citato Nanni Moretti.
Punzecchiato sulla spinosa questione delle piattaforme e della loro influenza nociva verso le sale, Luc Dardenne auspica a una regolamentazione più etica, che permetta la sopravvivenza di entrambe le esperienze.
Nonostante i suoi anni e la sua esperienza non riesce a non essere ottimista nell’immaginare il futuro del cinema che ama, perché sotto sotto non potremmo proprio farne a meno:
Perché il cinema è un’esperienza più attiva che passiva, abbiamo bisogno di parlare di cinema perché il cinema in realtà è un modo di relazionarsi alla vita
Chiude con un meraviglioso auspicio, spunto che tra l’altro è possibile leggere nel libro.
Si tratta di uno stralcio di sceneggiatura di un film mai realizzato, ma che in futuro potrebbe arrivare e che parla della sua infanzia insieme a suo fratello.
Io sono cresciuto in un tempo in cui era necessario ribellarsi ai genitori, non avevamo altra scelta. È brutto da dire, ma finché mio padre sarà ancora in vita non potremo fare questo film, perché non voglio fargli rivivere certe cose
S’intitolerebbe 17 souvenirs, e sarebbe appunto composto da 17 ricordi che, come madeleine proustiane, riemergono dall’infanzia.
E cosa mai potrebbe esserci al mondo di più cinematografico della vita dei fratelli Dardenne?
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