Se pensate che parlare con gli alberi sia una sciocchezza, avete ragione. Se però vi considerate esseri razionali e vi è capitato di dirvi, a prescindere dal vostro grado di preoccupazione per la questione ambientale, che non capite più gli altri umani, e questa vita vi sta stretta, qui siete in buona compagnia.
Due libri a modo loro straordinari si propongono come porte di accesso per rimescolare le proprie convinzioni, negoziare con concetti difficili da digerire, esercitare il fondamentale diritto al dubbio. Si tratta di Come pensano le foreste, di Eduardo Kohn (Nottetempo), e di Smarrimento di Richard Powers (La nave di Teseo).
Le foreste pensano? E perché, nella foresta di Ávila, i cani sognano? In questo libro, Eduardo Kohn sfida i fondamenti stessi dell'antropologia, mettendo in discussione i presupposti di base su cosa significa essere umani, e per questo distinti da tutte le altre forme di vita.
Il primo è l'opera diventata ormai di riferimento per una nuova generazione di filosofi e di antropologi (la fondamentale prefazione all'edizione italiana è di Emanuele Coccia), convinti che sia giunto il momento di sovvertire i fondamenti stessi dell'antropologia, superare la contrapposizione natura-cultura, scardinare l'antropocentrismo per includere, e includerci, in tutto ciò che è vivente: ovvero guardare l'umano dall'oltre umano; espandere, attraverso l'esperienza, lo studio della "struttura che connette" intuita negli anni Settanta da Gregory Bateson.
L'esperienza è quella che Kohn fa in prima persona, studiando per anni una tribù dell'Amazzonia equadoriana. Al suo seguito si inoltra nella foresta, nella rete di vegetali, animali predati e predatori, cacciatori e spiriti, nelle esperienze psichedeliche necessarie per cogliere il pensiero della foresta nella sua unicità, poiché se pensare è vivere, ogni vivente deve necessariamente esprimere un pensiero, lontano dagli schemi linguistici e relazionali con i quali abbiamo modellato la nostra visione del mondo.
È in questo modo che ci si espone ai segni, ai sogni e alle immagini che la foresta produce con un flusso incessante. Kohn ha il grande pregio di non essere prescrittivo, di non enunciare verità assolute: dice onestamente che la sua è una speculazione antropologica-filosofica; un tentativo, costruito su un'esperienza empirica, «di decifrare il legame tra i processi di rappresentazione (che formano il supporto di ogni pensiero) e quelli viventi, che solo un'attenzione etnografica a ciò che si trova oltre l'umano riesce a mettere in evidenza».
Come possiamo spiegare ai nostri figli un mondo che vuole autodistruggersi? Il nuovo romanzo di Richard Powers è la storia del feroce amore di un padre e di un figlio, che lottano per salvare se stessi su un pianeta di cui, forse, abbiamo perso il controllo.
Quello di Powers è invece un romanzo, estensione e risposta alle domande aperte in Il sussurro del mondo (The Overstory), premio Pulitzer 2019, messo sul podio da una vasta parte della critica americana, benedetto da una schiera di colleghi, una fra tutte Margaret Atwood che ha scritto «Se Richard Powers fosse uno scrittore del diciannovesimo secolo chi sarebbe? Herman Melville, e avrebbe scritto Moby Dick».
Il libro, un'epopea transgenerazionale, è interamente posseduto dagli alberi, e dalla frontiera tra l'umano e il non umano. Il successo di Il sussurro del mondo lasciò Powers svuotato per anni, sul punto di abbandonare la scrittura, incapace di rispondere alla domanda cruciale che lui stesso aveva posto: «perché siamo così persi e come possiamo tornare indietro?». La risposta prende forma nella sua nuova residenza tra le foreste del Tennessee: «Ho pensato, ora che ho posto la domanda, perché non scrivere una storia su questo cambiamento?».
Convinto, come Eduardo Kohn, che la nostra incapacità di affrontare la crisi climatica sia un fallimento sociale e politico, ma soprattutto un fallimento dell'immaginazione, Powers con Smarrimento (Bewilderment) cerca di indicare una strada, ambientata in un futuro prossimo, pre-apocalittico, ma a pochissima distanza dalla realtà, come se Trump avesse conquistato un secondo mandato. Il romanzo è centrato su tre personaggi: un astrobiologo, narrato in prima persona, alla ricerca di pianeti che abbiano il potenziale di ospitare la vita; una moglie amatissima morta accidentalmente, ma sempre presente come un riverbero del vivente, soprattutto nella mente del figlio di nove anni. Robin è un bambino disfunzionale, dotato di un'originalissima sensibilità, forse un po' autistico, luminoso e implacabile critico della morale mainstream. Sia come sia, un personaggio assolutamente indimenticabile, come il suo percorso di guarigione psichica, intorno al quale si costruisce una possibile risposta allo smarrimento sociale e individuale che annebbia le nostre esistenze.
Una risposta che Kohn affida invece a Manari Ushigua, il capo della tribù Sapara, ai sogni, alle decine di personaggi umani, animali, vegetali che sono più che interlocutori. «Noi siamo gli altri» sentenziò nell'Elogio della fuga il grande neurobiologo e filosofo Henri Laborit, e questo Altro per Kohn è l'intera foresta tropicale, la sua vita multiforme, che diventa a tutti gli effetti un atto "politico", con il quale l'antropologo ci invita a «intraprendere un arduo processo di decolonizzazione del nostro pensiero». In altre parole, un sottrarsi attivo al domino della nostra concezione dualistica, centrata su ciò che consideriamo prerogativa esclusivamente umana, «le nostre anime, le nostre menti, le nostre culture». E proprio perché siamo inevitabilmente creature morali, a differenza degli altri viventi, non dobbiamo dimenticare la nostra intima natura, per permettere alle diverse vite oltre l'umano (e extramorali) di lavorare attraverso di noi con una pratica a tutti gli effetti etica. «Un'opera d'arte. Una strada alternativa immensamente rinvigorente per l'antropologia e la filosofia» ha detto Bruno Latour di questo libro vincitore nel 2014 del prestigioso Gregory Bateson Prize. Smarrimento ha invece guadagnato la short list del Booker Prize e la long list del National Book Awards, ma soprattutto premia la nostra immaginazione con una poesia metafisica che solo i grandi scrittori sono capaci di esprimere.
In conclusione, un libro è lo scivolo per l'altro, con un magnifico gioco di rimandi. E dopo è difficile tornare pacificati alle nostre esistenze cartesiane. Powers racconta così il suo primo incontro con una sequoia: «Quando ti trovi di fronte ad un essere vivente che è largo come una casa, alto come un campo di calcio e ha quasi due millenni, cominci a dirti: qui mi sono perso qualcosa di ovvio».
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