A Johannesburg, capoluogo del Sudafrica, i palazzi sono blocchi di cemento marrone, ma ogni tramonto è così bello che vorresti fosse l’ultimo.
Quando Nadine Gordimer si trasferisce per la prima volta a Johannesburg, alle donne in Italia non è ancora concesso votare.
Per fortuna in Inghilterra sì, che era il paese a cui al tempo apparteneva il Sudafrica, ma questo non significa che per una donna vivere da sola non fosse scandaloso.
Per fortuna Gordimer, nata in una famiglia di emigrati ebrei, non si fa intimorire facilmente.
Nadine continua a scrivere una volta che va via di casa. L’aveva già fatto, da bambina, dopo che sua madre l’aveva ritirata dalla scuola cattolica per paura che avesse una malformazione cardiaca. Anche lì, non si era fatta intimorire.
Pubblica dei racconti per riviste sudafricane locali, poi raccolti nella sua prima antologia pubblicata nel 1949, Faccia a faccia.
Il successo arriva con A watcher of the dead, racconto pubblicato dal New Yorker, con cui poi continuerà a collaborare fino alla fine della sua carriera, in cui un uomo viene ingaggiato per guardare il corpo di una morta, secondo la tradizione ebraica. I suoi racconti, soprattutto quelli inseriti nella raccolta del 1952 La voce soave del serpente, sono tutti ambientati in Sud Africa, e descrivono le sottili dinamiche di potere messe in atto dal razzismo: una donna bianca e il suo rapporto con la sua donna di servizio nera, una coppia che contratta con un rivenditore indiano.
In uno dei suoi racconti pubblicati dall’editore americano Simon&Shcuster nel 1956, con il titolo Six feet of the County scrive:
Il potere è qualcosa in cui sono convinta non ci sia innocenza, da questo lato del grembo materno
Anche se pensava che non si potessero espiare le colpe del razzismo, ci prova per tutta la vita, e dopo l’arresto della sua migliore amica Bettie du Toit, un’attivista per i diritti civili, prende parte al movimento, diventandone presto uno dei punti di riferimento.
Entra in contatto con altri intellettuali antirazzisti e diventa fedele amica di Nelson Mandela — lui in prigione legge il suo La figlia di Burger e le manda una lettera di complimenti — , lo aiuterà ad editare il suo celebre discorso «Sono preparato a morire».
Lei sarà tra le prime persone che vorrà vedere dopo essere stato liberato.
Ambientata nel clima di feroce lotta politica del Sudafrica degli anni Settanta, la storia, ispirata alla vicenda di un famoso avvocato afrikaner costretto alla clandestinità per il suo impegno contro l'apartheid, segue il lento evolversi di Rosa Burger. La morte del padre - Lionel Burger, da sempre in lotta per la libertà dei neri - trasforma definitivamente Rosa nella "figlia Burger".
Rimane a Johannesburg anche durante gli anni 60 e 70, nonostante la tesa situazione politica per via della liberazione della nazione, ed entra a far parte del Congresso Nazionale Africano, quando era ancora considerato un partito illegale dal regime.
Continua a difendere i diritti civili per tutta la vita, militando e dando rifugio a personalità di spicco ricercate dal regime nella sua casa coloniale di Johannesburg. Quando casa sua viene violata e le consigliano di andare a vivere in un complesso sorvegliato, rifiuta. Nel 1991 vince il premio Nobel per via della sua “magnifica scrittura, che è stata di grande aiuto all’umanità”, secondo le parole di Alfred Nobel.
Alternando brevi periodi di soggiorno negli Stati Uniti per insegnare scrittura, Gordimer si dedica anima e corpo al bene della cultura nel suo paese: fonda il Congresso degli scrittori Sudafricani, diventa vice presidente del PEN internazionale, un’associazione di scrittori.
Ha combattuto la discriminazione razziale con la mente e con il corpo, militando in prima linea e ricordando a tutti con la sua produzione letteraria che il razzismo si nasconde ovunque, soprattutto dove non lo si vede.
Quando muore nel sonno a 90 anni, nel 2014, il Sud Africa perde una scrittrice, un’intellettuale, una compatriota ma, soprattutto, un’attivista.
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