Lieve intro di piano e contrabbasso.
Poi il contrabbasso pronuncia una frase solitaria e il piano risponde. Questo per quattro volte, poi irrompono i fiati ed espongono un tema tra i più celebri della musica del ‘900: stiamo parlando di So What, il brano di apertura del leggendario album Kind of Blue di Miles Davis, registrato negli studi Columbia Records a New York nel marzo del 1959.
Fidati sodali, musicisti come John Coltrane, Bill Evans, Paul Chambers, Billy Cobb, Wynton Kelly, Julian “Cannonball” Adderley, lo hanno accompagnato in questa session così come molte altre nel corso dell’ultimo quinquennio.
Miles Davis sta indicando una nuova strada nel mondo del jazz. Non è la prima né sarà l’ultima volta.
Nonostante abbia da poco varcato la soglia dei trent’anni è già un leader affermato, un musicista consapevole e ferocemente determinato.
Nato nel 1926, cresciuto a St.Louis in una famiglia appartenente alla borghesia nera locale, riceve a 13 anni la sua prima tromba in regalo e comincia presto a frequentare la scena jazz della città, scoprendo un mondo del quale vuole assolutamente fare parte.
Raggiunta la maggiore età, convince i genitori a lasciarlo partire per New York allo scopo di frequentare la prestigiosa Juilliard School of Music, ma non è questa l’educazione musicale che ha in mente. Il giovane Miles vuole laurearsi sul campo e comincia a setacciare i quartieri giusti di New York alla ricerca di musicisti che ama. Iniziano così anni di un apprendistato che non ha prezzo, accanto a musicisti come Charlie Parker, Dizzy Gillespie e altri protagonisti della scena dell’epoca, riuscendo a sviluppare le proprie idee e aspettando l’occasione giusta per applicarle.
L’occasione arriva presto, ed è l’incontro con l’arrangiatore Gil Evans. Birth of the Cool (1949) è il disco che ne scaturisce, un lavoro che vede Davis alla guida di un nonetto, una piccola orchestra che dà vita a un suono morbido e orecchiabile, un netto cambio di direzione rispetto al verbo bebop fino a quel momento in auge. L’influenza di questo album sulla scena jazz è enorme e anticipa quello che farà Miles Davis per tutta sua carriera, ovvero sperimentare e andare alla ricerca di un nuovo linguaggio musicale.
Come scritto da Arrigo Polillo nel saggio Jazz: “Miles Davis – a differenza degli altri grandi maestri della musica afroamericana – non è mai rimasto fermo a lungo sulle sue posizioni, né ha dato a vedere di provare nostalgia per quanto è stato fatto, da lui o da altri jazzman, nel passato prossimo o remoto”.
Gli anni ’50, dopo un inizio buio a causa di problemi di tossicodipendenza, sono fervidamente creativi e vedono Miles alla guida del già citato, superbo gruppo (conosciuto come “il primo quintetto”) con l’inconfondibile “voce” della tromba del leader filtrata da una sordina che diverrà con il tempo suo riconoscibile marchio di fabbrica.
Successivamente, il passaggio da etichette indipendenti come Prestige e Blue Note alla leggendaria Columbia Records, consacrerà la sua carriera ad una celebrità definitiva, grazie anche ad una serie di album (Round About Midnight, Miles Ahead, Milestones, Porgy and Bess e Sketches of Spain) che culmina con la pubblicazione del capolavoro Kind of Blue, manifesto di quel jazz modale che, liberando il solista da molti vincoli armonici e aumentandone le possibilità espressive, muterà definitivamente tutto il jazz a venire.
Il decennio successivo, ricco in tutto il mondo di tensione al cambiamento sul piano artistico, politico e sociale, si apre nel mondo della musica jazz all’insegna della rivoluzione free.
Davis non ne è però attratto, né tantomeno colpito: è sempre stato un musicista libero, dalla forte attitudine sperimentale. La ricerca di nuovi approcci verso la composizione è parte integrante del suo stile.
La sua risposta è la formazione di un quintetto (il “secondo quintetto”) formato da Wayne Shorter, Ron Carter, Herbie Hancock e Tony Williams, una band che è ancora acclamata oggi come uno dei gruppi jazz più grandi e influenti di tutti i tempi. I loro lavori - da Miles Smiles, ESP e Nefertiti, a Miles in the Sky e Filles de Kilimanjaro - aprono una via inaudita, connotata da un coraggio e da un interplay senza vistosi precedenti possibili. In particolare, gli ultimi due titoli sono quelli che – accanto alla grande libertà di azione concessa alla sezione ritmica –introducono l’utilizzo di strumenti elettrici che preludono alla prossima svolta di Miles.
Sempre in cerca di nuovi stimoli, il musicista di St.Louis presta attenzione a ciò che sta accadendo intorno e lontano da lui: i grandi raduni rock, la psichedelia della West Coast, le sonorità acide e randagie di Jimi Hendrix, il funk di James Brown e di Sly & the Family Stone…
Raduna in studio vecchi e nuovi collaboratori e, ispirato da quanto sente in giro, pubblica nel giro di un anno In a Silent Way (1969) e il fondamentale Bitches Brew (1970), album che nasce da una lunga jam session a base di ritmi funk e improvvisazione e che allarga la fama di Davis alle generazioni più giovani, appassionati di musica spesso a digiuno di jazz ma conquistata da una proposta dirompente, in grado di abbattere qualsiasi confine musicale.
È nato il jazz elettrico e con lui la prima rockstar del jazz: Miles Davis.
Nei primi ’70, il suono caleidoscopico di quel periodo della sua carriera viene documentato da diverse pubblicazioni live, fino a che Davis, stanco, depresso e nuovamente tossicodipendente, abbandona le scene nel 1975.
Ritorna ben motivato nel 1981. Columbia Records lo riaccoglie con riluttanza, i puristi del jazz (già critici con il periodo elettrico) lo attendono al varco e lui replica a muso duro con un sorprendente poker di album costituito da The Man with the Horn, Star People, Decoy e You’re Under Arrest, opere che denotano la curiosità e l'attenzione prestate dal nostro al funk/R&B di quegli anni (Michael Jackson, Chaka Khan, più tardi Prince), sintetizzatori e drum machine.
Nel 1985 arriva un nuovo contratto con Warner Music, l’anno dopo è il disco Tutu a ribadire l’ampiezza della visione musicale di Miles Davis.
Doo-Bop, la collaborazione con il produttore hip hop Easy Moe Bee che esce postumo nel 1992, è l’ennesima conferma dell’istinto di Davis a guardare sempre avanti.
Riascoltando oggi la sua musica, a trent’anni dalla scomparsa, e prendendo atto della sua inesauribile attualità, risulta evidente l’influenza dell’artista afro-americano sulle successive generazioni di musicisti.
Carattere difficile e ombroso, (era detto Prince of Darkness, non a caso), Miles Davis è stato invece un musicista immenso e generoso che nel corso di sei interi decenni ha desiderato suonare il futuro, alla ricerca di nuovi suoni e nuove sfide. Un uomo che ha seguito il proprio infallibile istinto, fino alla fine.
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